gesù leggeVANGELO

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

RIFLESSIONE

29 settembre 2013

ACCORGERSI CHE C’È LAZZARO
26ma domenica del Tempo Ordinario C

È curioso che Dio conosce per nome il povero Lazzaro
mentre non sa il nome del ricco “epulone”
(che potremmo tradurre con festaiolo, attaccato ai piaceri).
Dio non conosce il ricco perché egli è traboccante di se stesso,
quindi non ha bisogno di Dio. E il Dio rispetta questa distanza.

Il cuore del Vangelo non è tanto la vendetta di Dio
cioè la pena del contrappasso che ribalta la situazione.
Il senso della parabola sta nella parola chiave che è “abisso”.

C’è un abisso fra il ricco e Lazzaro, un burrone incolmabile.
Il ricco non viene condannato perché ricco o indifferente,
ma perché ha il cuore grigio, inquinato, stropicciato.
Seppur probabilmente buon praticante (cfr. prima lettura)
non si accorge del povero che muore alla sua porta.

L’abisso invalicabile non è in cielo, ma è nel suo cuore,
nelle sue false certezze, nel suo accontentarsi di stagnare,
nella supponenza di pensare di essere sufficientemente apposto
con qualche preghierina spruzzata su una coscienza asfaltata.

Quando il cuore è così stropicciato l’abisso diventa invalicabile,
tanto che neppure Dio riesce a raggiungerci.
Questo è l’abisso più pericoloso in cui il cuore può cadere
e quando ti accorgi ti senti letteralmente all’inferno.
Quante occasioni perse vediamo risucchiate dall’abisso.

Oggi siamo chiamati ad accorgerci di Lazzaro e a riconoscerlo.

Siamo chiamati ad imparare “a prendere a cuore”,
cioè ad attuare una solidarietà ragionata e una carità intelligente
(non pietistica, non mielosa, non rassegnata).
Solo così il nostro incarognito mondo può cambiare.

Sganciare un Euro al semaforo serve solo, troppo spesso,
per far tacere la voce fastidiosissima di chi chiede
ma anche per far tacere la voce della nostra coscienza sporca.

Dio non sgancia un Euro a Lazzaro, ma si lascia coinvolgere.
Non basta fare del bene, ma bisogna farlo bene (Papa Giovanni).
Un proverbio africano dice: se davvero vuoi aiutare il tuo fratello
non dare pesci da mangiare ma una canna per imparare a pescare.

Siamo però chiamati ad accorgerci di un altro Lazzaro,
quello che facciamo più fatica a vedere: quello dentro di noi,
cioè quella parte misera, mendicante, sporca di noi
che tante volte è seduta alla porta della nostra coscienza
e che non abbiamo il coraggio di guardare negli occhi.

È questa la sete che brucia il ricco epulone,
è questo ciò che Amos condanna nella prima lettura:
quell’essere spensierati, superficiali, buontemponi
che impoverisce, intristisce, appassisce la nostra vita
e ci rende mendicanti di affetto e affamati di briciole.

Che il Signore ci insegni a vedere i poveri del mondo
ma soprattutto e innanzitutto a sentirmi io povero dentro.
Il mondo potrà cambiare solo se avremo il coraggio di aiutare,
di amare, di curare, di disinfettare le piaghe di noi stessi.

Quante volte si fa volontariato agli altri solo come anestesia
per scappare dal dovere di guardare dentro se stessi.

Che il Signore ci aiuti a sorridere ad ogni povero Lazzaro
ma soprattutto ad accorgerci del Lazzaro piegato e piagato
dentro di noi. Dio può vincere l’inferno che siamo noi,
colmando anche gli abissi più bui, attraverso persone vicine
che ci possono aiutare ma che noi spesso non vediamo
e che facciamo sciupare di trascuratezza. Dio possa perdonare noi
e ricompensi loro con la pace interiore del paradiso ritrovato.