preghiere

LETTURE

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi
Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro.

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
RIFLESSIONE

19 ottobre 2014

CAPACI DI LAICITÀ
29ma domenica del tempo ordinario A

Il campione ciclista Gino Bartali lascia scritto al figlio Andrea:
“Il bene si fa ma non si dice. Le medaglie più belle e importanti
si appendono all’anima e non alla giacca”.

Pochi sanno che Bartali fingendo allenamenti tra Firenze e Assisi
nascondeva nella canna della bicicletta del materiale
per preparare documenti d’identità falsi così da salvare vite ebree
evitando la deportazione nei campi di concentramento.
Il cardinale Elia Dalla Costa gli aveva chiesto di essere
“un messaggero alato” di questa rete clandestina di soccorso.
Bartali era sposato e aveva un figlio. Il rischio era molto alto.

È stato un uomo capace di giustizia, di speranza, di amore.
È stato un uomo capace di Vangelo. Campione di bici e di virtù.

La fede non è una “informazione”, cioè un bagaglio di nozioni,
ma è una “formazione”: uno stile di essere uomini innanzitutto.

La Chiesa non è perfetta e non è una comunità di perfetti.
Donne e uomini, innanzitutto. Concretamente e realisticamente.
Per questo la fede è personale, ma non può essere mai solitaria.

Infatti il Vangelo porta necessariamente a incontrare gli altri
per farci maturare come donne e uomini, capaci di Eucaristia,
cioè uomini capaci di Dio, capaci di infinito, di grazia, di amore
capaci di riconoscere un Padre per sentirsi figli e essere fratelli,
quindi capaci “di dire grazie” (“eucaristein” si direbbe in greco):
io ho bisogno degli altri e io posso dare qualcosa agli altri.
Questo dinamismo rende capaci di comunità, dialogo, fraternità.

Non si riduce ad una moralistica solitaria coerenza tra fede e vita,
ma è acquistare uno stile di pensare, di agire, di vedere le cose.

Il Vangelo fa aprire il cuore, allargare la mente, tendere le mani.
Quella parola di speranza che condividiamo celebrando insieme,
quell’invito a cui aderisco personalmente trovandomi vicino altri,
mi chiede di essere “capace di laicità”. È un impegno tosto.
“Date a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che è di Cesare”.

La laicità del cristiano è prendere sul serio le cose del mondo.
La Messa ha come frutto quello di plasmare donne e uomini laici
capaci di speranza e quindi capaci di futuro.
La speranza non è solo ottimismo, ma implica scelte esistenziali.

La laicità del cristiano è la capacità di essere cittadino del mondo
come “fomentatore di progetti”, mai rassegnato al peggio.
Bisogna superare la percezione con cui l’uffa inquina i perché.
Con la fede vince più la noia che non le motivazioni contrarie.

È il senso del “Padre nostro” che Gesù ci ha insegnato: chiedi
“sia fatta la tua volontà” per essere capace di Vangelo,
“dacci oggi il pane quotidiano” per essere capace di Eucaristia,
“rimetti a noi i nostri debiti” per essere capaci di Comunità,
ma la vita non è facile e noi siamo ostinati nelle debolezze
per cui gli chiediamo “non abbandonarci nella tentazione”
per ridire con parole di oggi l’antico “non indurci in tentazione”.

“Non abbandonarci” vuol dire però che ci siamo dentro in pieno.
“Non ci indurre” rischiava quasi di far apparire noi quelli bravi
e Dio quello che ci fa gli sgambetti. Ci serve serena schiettezza.
Dio non si scandalizza. Dio è realista: ci conosce e ci capisce.
Dio non punta il dito ma tende una mano per non abbandonarci.
Proviamo a cambiare le parole per fare nostro questo senso
che stimola, rialza, motiva, ridimensiona, rasserena, cambia.

Non abbandonarci nella tentazione delle nostre solite debolezze
(che in fondo in fondo però ci piacciono e non ci danno fastidio),
dacci però dei “perché” abbastanza forti per superare i “come”.
Questi “perché” vivono in gesti di laicità nello stile dell’amore,
di donne e uomini capaci di Vangelo, di Eucaristia, di Comunità,
capaci di valori, capaci di laicità espressa in gesti concreti
per un nuovo umanesimo, cominciando da chi e cosa ho accanto.
Sono le medaglie più preziose, nascoste, coraggiose e rischiose,
che fanno brillare occhi e cuore, invece che luccicare le patacche.
Sono spesso nascoste nelle pedalate delle salite di ogni giorno.
Queste medaglie si appendono all’anima e non alla giacca.