Il Villaggio Ideale del Lavoro

Crespi d'AddaFu questa l’idea di Cristoforo Benigno Crespi, un industriale lombardo, a cui dette vita accanto al proprio opificio tessile. Il Villaggio Crespi d’Adda nasce dal nulla ed è una vera e propria piccola città, costruita dal padrone della fabbrica per i suoi dipendenti e le loro famiglie. Ai lavoratori dipendenti venivano messi a disposizione una casa con orto e giardino e tutti i servizi necessari.

La vita dei dipendenti, insieme a quelle delle loro famiglie e della comunità intera, ruotava attorno alla fabbrica; una città-giardino, al confine tra mondo rurale e mondo industriale. Il padrone “regnava” dal suo castello in questo piccolo mondo perfetto e provvedeva come un padre a tutti i bisogni dei dipendenti: dentro e fuori la fabbrica ovvero “dalla culla alla tomba”, anticipando le tutele più avanzate dello Stato sociale.

Nel Villaggio potevano abitare solo coloro che lavoravano nell’opificio, e la vita di tutti i singoli e della comunità intera “ruotava attorno alla fabbrica stessa” e ai suoi ritmi. E’ certamente la più importante testimonianza in Italia dei villaggi operai: conservato perfettamente integro ha mantenuto intatto il suo aspetto urbanistico e architettonico. La fabbrica è situata lungo il fiume; accanto il castello della famiglia Crespi, le case operaie, di ispirazione inglese, sono allineate ordinatamente lungo strade parallele; a sud vi è un gruppo di ville costruite più tardi per gli impiegati e per i dirigenti.

Le case del medico e del prete vigilano dall’alto sul villaggio, mentre la chiesa e la scuola, affiancate, fronteggiano la fabbrica. Segnano la presenza e l’importanza dell’opificio le sue altissime ciminiere e i suoi capannoni che si ripetono lungo la via principale, la quale corre tra la fabbrica e il villaggio, giungendo fino al cimitero. Per citare un esempio di meticolosità nella impostazione urbanistica: dalla torre del castello il Crespi, con la porta aperta della chiesa, poteva vedere l’altare e il celebrante.

La villa padronale, o castello, ripropone lo stile medioevale trecentesco mentre la chiesa è copia della rinascimentale S.Maria di Busto Arsizio, paese d’origine dei Crespi. Le altre costruzioni sono tutte di gusto neomedioevale, con decorazioni in cotto e finiture in ferro battuto. L’opificio esprime la massima celebrazione dell’industria nell’ingresso centrale, tra le fastose palazzine degli uffici dirigenziali.

Il cimitero, di gusto eclettico, è monumento nazionale: al suo interno la cappella Crespi, una torre-piramide di ceppo e cemento decorata si erge ad abbracciare le tombe operaie, piccole croci disposte ordinate nel prato all’inglese. Oggi il villaggio di Crespi ospita una comunità in gran parte discendente degli operai che vi hanno vissuto o lavorato e la fabbrica stessa è rimasta in funzione fino al 2004,

sempre nel settore tessile cotoniero. Nel 1995 Crespi d’Adda è stato accolto nella Lista del Patrimonio Mondiale Protetto in quanto “Esempio eccezionale del fenomeno dei villaggi operai, il più completo e meglio conservato del Sud Europa”.

Una visita più volte rinviata poi, finalmente, una domenica di luglio ci siamo andati. Giunti sul posto seguiamo le indicazioni per raggiungere il punto informazioni (anche se mi ero già premunito di info e mappa tratte da Internet). Lì intendevo prenotare la visita guidata alla fabbrica, prevista nel pomeriggio, ma purtroppo l’ufficio era chiuso per ferie. Riapertura a settembre!

Di positivo trovo solo la possibilità di accesso con l’auto sino al centro (altrimenti vietata) e un’ampia disponibilità di parcheggi. Sfumata la possibilità di una visita più approfondita, incominciamo il nostro percorso visitando il parco, un’area verde ben attrezzata per giochi e pic-nic, e in seguito passeggiare per il villaggio; lungo le strade troviamo allineate le case composte da due appartamenti affiancati, con le abitazioni disposte su due piani e con annesso ciascuno un proprio terreno.

Molte le case ancora abitate, ciascuna con una o più auto parcheggiate all’esterno (non vediamo garage, a quei tempi non si usavano) e un discreto numero di piscine non interrate, istallate dagli eredi degli operai della famiglia Crespi. Il villaggio è molto tranquillo, c’è un bar, una pizzeria, nella parte più periferica troviamo le ville monofamigliari costruite per i dirigenti, sempre su due piani, ma con finiture molto più ricche e curate.

Crespi05Da quando la fabbrica ha cessato di essere attiva il visitatore si imbatte anche in parti rabberciate e sconnesse, edifici muti e cadenti; si percepisce la tristezza del vecchio e l’incombente agonia dei servizi offerti ed ora ridimensionati. Nonostante i problemi Crespi d’Adda conserva un suo fascino. Il visitatore se ne rende conto e vi scopre interessanti risvolti di arte e di storia, imbalsamati dal tempo: il vasto opificio dove generazioni hanno faticato per il pane quotidiano; le casette ordinate degli operai, degli impiegati e le villette dei dirigenti; la sbiancatissima scuola che riesce ancora, per tenace dedizione degli abitanti, a mantenersi viva per i piccoli; la villa padronale, un castello fantasiosamente medievale, inteso come rievocativo della presenza a Trezzo di Barnabò Visconti in catene e alle prese col veleno; la singolare riedizione nella chiesa del santuario della Madonna dell’Aiuto di Busto Arsizio.

E il cimitero? Merita la visita, perché ognuno che lo veda se lo può commentare a modo suo. Una visita a Crespi d’Adda è esplorazione di un ambiente particolare erede del pionierismo industriale che si sprigionò un giorno da Busto Arsizio.

La storia

Nato nel 1878 sulla riva dell’Adda, in provincia di Bergamo, la Fabbrica e il villaggio di Crespi d’Adda, furono realizzati quando in Italia nasceva l’industria moderna. Era questa l’epoca in cui i grandi capitani d’industria illuminati, al tempo stesso padroni e filantropi, colmavano i ritardi della legislazione sociale dello Stato. L’idea era di dare a tutti i dipendenti una villetta, con orto e giardino, e di fornire tutti i servizi necessari alla vita della comunità: chiesa, scuola, ospedale, dopolavoro, teatro, bagni pubblici…

Questo esperimento paternalista ebbe termine alla fine degli anni Venti con la fuoriuscita dei suoi protagonisti e a causa dei mutamenti avvenuti nel XX secolo. Il villaggio è delimitato dai fiumi Adda e Brembo ivi confluenti, che formano una penisola chiamata “Isola Bergamasca, linea di confine tra il territorio del Ducato di Milano e quello della Repubblica di Venezia; ed è collegato al restante territorio soltanto in direzione Nord.

Queste caratteristiche hanno fatto sì che Crespi d’Adda si sia conservata in modo straordinario, nascosta ed al margine dello sviluppo caotico dell’area circostante. I Protagonisti Cristoforo Crespi nacque a Busto Arsizio nel 1833. Era il primogenito di Antonio Crespi, discendente di una famiglia di imprenditori tessili (detti “Tengitt”) di Busto Arsizio. Dopo aver aiutato il padre nel commercio di tessuti tinti, diede vita insieme alla famiglia agli opifici di Vaprio, Vigevano e Ghemme.

Nel 1878 fondò lo stabilimento di Crespi d’Adda, introducendo i più moderni sistemi di filatura, tessitura e finitura. Silvio Crespi, figlio di Cristoforo, nacque a Milano nel 1868. Laureatosi in giurisprudenza, si recò in Inghilterra per seguire gli sviluppi dell’industria cotoniera. Nel 1889 entrò nell’azienda paterna e in seguito ne assunse la direzione. Fu deputato e senatore nelle file dei liberali cattolici e svolse un’intensa attività in parlamento a favore dell’industria e del commercio, rivolgendosi anche a problemi legati alle condizioni di lavoro degli operai.

Fu nominato ministro plenipotenziario al termine della Grande Guerra. Morì a Cadorago nel 1944. Operò per la realizzazione di questo villaggio modello, strutturato secondo criteri moderni di urbanistica sociale, ove spazi, volumi, intervalli, ritmi e servizi procedessero secondo criteri preordinati e finalizzati.

Un esempio, secondo Silvio Crespi, per tutti i cotonieri. Scriveva allora Silvio Crespi: “Grave è la questione degli infortuni in Italia, specialmente nella filatura del cotone; e quando gli imprenditori avranno applicato tutti i mezzi per prevenire e attutire gli effetti degli infortuni, avranno compiuto un sacrosanto dovere, ma saranno ancora ben lungi dall’aver soddisfatto a tutte le responsabilità che loro spettano nel conciliare le necessità dell’industria colle esigenze della natura umana.”

E continua dicendo: “Ultimata la giornata di lavoro, l’operaio deve rientrare con piacere sotto il suo tetto: curi dunque l’imprenditore che egli vi si trovi comodo, tranquillo ed in pace; adoperi ogni mezzo per far germogliare nel cuore di lui l’affezione, l’amore alla casa… Chi ama la propria casa ama anche la famiglia e la patria, e non sarà mai la vittima del vizio e della neghittosità.

I più bei momenti della giornata per l’industriale previdente sono quelli in cui vede i robusti bambini dei suoi operai scorrazzare per fioriti giardini, correndo incontro ai padri che tornano contenti dal lavoro; sono quelli in cui vede l’operaio svagarsi ed ornare il campicello o la casa linda e ordinata; sono quelli in cui scopre un idillio o un quadro di domestica felicità; in cui fra l’occhio del padrone e quello del dipendente, scorre un raggio di simpatia, di fratellanza schietta e sincera. Allora svaniscono le preoccupazioni di assurde lotte di classe e il cuore si apre ad ideali sempre più alti di pace e d’amore universale.”

Autore: Stilton