VANGELO DI RIFERIMENTO

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

RIFLESSIONE

29 luglio 2012

HO FATTO TE

17ma domenica del Tempo Ordinario B

Prese i pani e li diede ai discepoli perché li distribuissero.
Mi sono chiesto perché continuiamo a chiamare questa pagina evangelica “la moltiplicazione dei pani”, mentre dal testo si intuisce che non si tratta solo di “moltiplicazione” ma anche e innanzitutto di “divisione”: il pane viene diviso e con-diviso.
Dio ha bisogno anche di noi!
A Dio piace coinvolgerci nella realizzazione del suo sogno.
Questo per noi può essere sconcertante e persino fastidioso perché pensiamo che Dio sia fatto per toglierci dai guai e per sbrogliare le nostre matasse intricate.
Non è così: il Signore chiede collaborazione e coinvolge.
Si racconta di una persona che si lamentava con Dio, e brontolava continuamente contro di lui:
“Di fronte a tante sofferenze, ai problemi del mondo: perché Dio non fai niente?”. Insisteva, arrabbiato.
Finché Dio gli rispose: “Io ho già fatto qualcosa: ho fatto te!”.
Quando gli chiediamo: “Signore ferma le guerre!”, Dio ci risponde: “Tu per primo diventa costruttore di pace dove sei”.
Quando diciamo: “Dio elimina la fame, la sofferenza, la povertà”, lui risponde: “Tu comincia ad accorgerti dei bisogni di chi hai vicino”.
Quando gli diciamo: “Aiuta quella persona malata”, lui ci risponde: “Dammi una mano, la tua, e portale una carezza”.
Possiamo dire allora che nel semplice gesto che offre una merenda per sfamare una folla, c’è la prima grande esperienza di Chiesa.
Il termine “chiesa” viene dal greco “ecclesìa”, che significa “fare comunione”, mettere in comune.
Dire “Chiesa” cosa suggerisce a noi? Una holding del sacro?
Un vecchio baraccone che custodisce riti antichi?
Una centrale del potere che tenta di salvarsi dal naufragio?
Una comunità o un erogatore di servizi?
Da duemila anni continua questa strana sproporzione: il cuore del potere di questa multinazionale è un pezzo di pane.
Questo pezzo di pane, invece, è “fonte e culmine”, è scuola e energia di con-divisione.
Quel “fate questo in memoria di me”, ridetto da Gesù sul pane spezzato nell’ultima cena, rimbomba ancora oggi nel nostro cuore: “fatelo anche voi!”.
Come il pane, anche la nostra vita se non la metti in tavola ogni giorno nuova e fresca per chi vive con te, rischia di diventare rafferma. A meno che non la congeli.
È il paradosso dell’Eucaristia: quando facciamo la comunione siamo “cannibali” di Dio per imparare a diventare “pane” per chi vive con noi.
Ecco allora la pericolosità del racconto: siamo chiamati a metterci in gioco, a mollare il nostro poco, per offrirci “testa e cuore” a chi vive accanto a noi.
In ebraico si direbbe “dare il corpo e il sangue”. Come Eucaristia.
La Messa non può essere ridotta solo un’innocente rappresentazione, come spesso la consideriamo per abitudine, ma è un’energia da impastare con la farina del quotidiano che ci renderà più “buoni”. Buoni da mangiare.
Un boccone di pane ci mostra il grande cuore di Dio.
Dio non manda mai a casa a mani vuote!
A Gesù basta il poco dell’uomo per dare il tanto di suo.
Basterebbe nella banalità della vita saper donare un sorriso, offrire parole dolci di comprensione invece che di giudizio, ripetere il gesto della disponibilità di quanto siamo e possiamo per permettere a Dio di fare di nuovo il miracolo della condivisione, il miracolo della moltiplicazione del pane quotidiano dell’amore.

*cfr dal mio libro, Benvenuti al ballo della vita, pag. 96

Dio non ci chiede di fare miracoli, ma ci insegna che tutto ciò che facciamo può essere e diventare miracoloso.
Così è stato per quel ragazzino: si è lasciato coinvolgere.
La sua reazione non è quella di fare il disfattista (non serve a niente) o di andarsi a mangiare le sue cose di nascosto (non mi frega) come forse avremmo fatto noi, per sicurezza.
Quel ragazzo insegna a noi oggi che non è tanto cristiano pregare affinché Dio dia il pane agli affamati ma è più cristiano invece pregare perché Dio liberi noi dall’egoismo.
Il Signore parte sempre dalla nostra disponibilità.
Se domando a Dio cosa ha fatto di bello oggi, Dio mi risponde: “Ho fatto te!”. Ed è miracoloso.