VANGELO

gesùDal Vangelo secondo Luca
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

RIFLESSIONE

13 ottobre 2013

MEGLIO GUARITI O SALVATI?
28ma domenica del Tempo Ordinario

C’è una domanda da fare ai lebbrosi del Vangelo di oggi:
è meglio essere guariti o essere salvati? Che differenza c’è?
Gesù agisce: dieci sono “guariti”, ma uno solo è “salvato”.
Ciò che fa la differenza è che è l’unico che torna a ringraziare.

La fede è chiedere di essere guariti o chiedere di essere salvati?

Chiedere di essere “guariti”
è cercare di sistemare le cose che ci vanno storte,
è chiedere a Dio di tappare i nostri buchi,
di intervenire lui per correggere i nostri sbagli,
ma solo quando noi non ce la facciamo più.

Non basta chiedere di essere “guariti” per incontrare Dio.
Anche il “pregare” può essere una maschera che nasconde
quel solito nostro terribile egoismo
nel tentativo di approfittarci di Dio per ottenere qualcosa,
o di tenerci buono Dio per poterlo usare al momento giusto,
solo se e quando mi serve. Non di più.

Chiedere di essere “salvati” invece è molto diverso:
in realtà esige molto di più ed è decisamente più difficile,
perché è un chiedere che ti mette in gioco in prima persona.
Non vuol dire aspettarsi di essere sistemati fuori
ma è prendere coscienza di voler cambiare dentro.
Non è modificare la realtà con la bacchetta magica,
ma chiedere la forza dell’impegno pesante di cambiare te stesso.

La fede è passare dal chiedere “delle grazie” al dire “Grazie”.
Il salvato è quello che “torna indietro”, cioè torna sui suoi passi.
Riparte da dove ha urlato di dolore. È cosciente della lebbra
e proprio la sua grave piaga è il punto da cui ripartire.

È il bellissimo dettaglio finale di questa pagina del Vangelo:
puoi anche riuscire a strappare un miracolo a Dio,
ma lo incontri davvero se ci ritorni per metterti in questione.
Non basta essere rialzato, devo imparare di nuovo a camminare.

Proviamo a chiederci: ci siamo mai degnati di dirgli grazie
per la vita che gustiamo, divoriamo o sciupiamo ogni giorno?
O anche nei confronti di Dio per noi tutto è dovuto e preteso?

Forse non avremo nella vita delle grazie, non otterremo miracoli,
ma il mondo sarebbe migliore e la lebbra del cuore sparirebbe
se imparassimo a dire grazie a tutti, per tutto, nonostante tutto.

Ci sarebbe un po’ meno fumo e un po’ più sostanza,
un po’ meno esibizione e un po’ più profondità,
un po’ meno iperattivismo e un po’ più serenità,
un po’ meno ricerca di consenso e un po’ più verità e libertà.

In Chiesa usiamo spesso la parola solenne “Eucaristia”
per dire la presenza di Dio: è il termine greco per dire grazie.
Eucaristia è vivere grati perché ti senti un condannato graziato.
L’opportunista “chiede” delle grazie, l’educato “dice” grazie,
chi è salvato dall’amore “rende” grazie: restituisce ciò che
ha avuto gratis e in modo immeritato, al di là della sua lebbra.

Sta a noi decidere se servirci di Dio o se servire Dio,
se chiedere delle grazie o se vivere per grazia, per “il” grazie.

Eucaristia, “rendere grazie”, ripartire mettendosi in gioco
è scegliere dire no (costa tanto) contro l’essere succube dei pareri,
è scegliere la lealtà (chiede tanto) contro l’apparire a tutti i costi,
è scegliere chi ti scuote (soffri tanto) e non chi ti fa solo solletico,
è scegliere il cuore che capisce e detestare il dito che condanna,
è scegliere l’affrontate il presente contro il rimpiangere il passato,
è scegliere di vivere con ironia contro il farsi turbe mentali,
è scegliere chi trasmette ottimismo e isolare i pessimisti noiosi,
è scegliere Dio come gancio di speranza per un nuovo inizio
e sgretolare una superstizione mascherata da religione.

Gesù ci dice: “Comunque, se non ricevi un miracolo, diventalo!”.