pecorelleVANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni
utte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

RIFLESSIONE

11 maggio 2014

SEGUIRE LA VOCE PER TROVARE LA PORTA
4a domenica del Tempo di Pasqua A

“Conoscono la voce”,
così viene dipinta la qualità più grande del gregge.

La “voce” non è una parola precisa
ma non è nemmeno un suono indistinto.
Ogni persona come ha un volto che è unico così ha una voce che è soltanto sua e di nessun altro.

Pensiamo al telefono: una persona amica
prima che dalle “parole” la si riconosce dalla “voce”, tanto che se non succede si è mortificati:
“Perdonami, non ti avevo riconosciuto”.

La voce poi è ciò che ti dà la certezza di una presenza:
se ti trovi spaesato, perso nel buio, basta una voce amica che ti dica: “sono qui!” e subito trovi la strada.

Così è nella fede: nel buio di tanti angoli della vita la voce amica si Dio conduce a trovare “la porta”.

Noi siamo abituati a pensare all’immagine del Buon Pastore.
In realtà il Signore usa un’altra immagine molto particolare:
ci dice che “Lui è la Porta”, la porta aperta del recinto.
Il Signore sa che noi abbiamo dei limiti, sa che siamo chiusi nel recinto delle nostre debolezze.
Sa che abbiamo l’orizzonte tagliato dagli steccati delle nostre preoccupazioni, delle nostre paure e angosce, delle nostre fragilità e ambiguità, delle nostre idee fisse.

Lui non elimina il recinto che blocca, ma apre un varco:
non toglie i nostri muri o steccati, ma ci permette di attraversarli.
Chi si vanta di non avere limiti non è libero, ma è disperso!

C’è un particolare che deve attirare la nostra attenzione:
il pastore “spinge fuori” le pecore dal recinto. Strano.
Istintivamente viene da pensare che voglia chiuderle al sicuro.
Gesù conduce “fuori” dai limiti ed aggiunge “io sono la porta”.

Gesù ci dice che c’è sempre una “uscita di sicurezza”:
non c’è ostacolo che non abbia una via d’uscita, non c’è barriera che ti possa tenere prigioniero.
Nemmeno l’ultima barriera, la più buia: la morte.

Proprio in questo “lui è il pastore”.
Il pastore spinge oltre perché è in legame profondo con il gregge:
condivide la strada, seguendo i ritmi delle stagioni e del tempo, condivide le notti gelide e i giorni infuocati, la sete e la fatica.
Quante volte il Signore fa così con la nostra vita e deve star dietro alle nostre lune e alle nostre nuvole.

Chi scavalca i muri non è libero, ma è ladro.
È libero solo chi abita in un recinto con una porta aperta:
ma questo si chiama “casa”. Anche se a volte sembra prigione.
La differenza tra un recinto e una casa è la voglia di tornarci perché comunque e nonostante tutto la porta è sempre aperta, anche se ogni tanto succede di chiuderla sbattendola dalla rabbia o di scontrarci con i catenacci e cercare di buttarla giù a testate.
Così è la porta: quella di casa, quella del cuore, quella di Dio.

Pensiamo ai pastori che aprono porte nei recinti dei nostri limiti.
Pensiamo alle persone che rendono vivibile la nostra vita.

Questa è la fede: conoscere e riconoscere la voce.
È distinguere la voce suadente di chi vende surrogati di felicità, imprigionandoti in illusioni improbabili e frustranti, dalla voce di chi la vita vera – in abbondanza – te la dona lasciandoti libero dentro al recinto aperto dei tuoi limiti.
Dio si comporta così, Dio vuole questo.

Per questo, Dio, il pastore, ci apre la porta e ci spinge oltre.