Un breve cenno storico di Cambiano

CambianoIl più antico documento in cui si registra il nome “Cambiano” è un atto di vendita e risale al febbraio del 959, ma il rinvenimento sul territorio di reperti archeologici rende ipotizzabile la presenza di un insediamento già in epoca romana (III secolo d. C.) ed il nome del paese è di probabile origine celtica (da “CAMBIUS).

Sono state ritrovate infatti tracce di un grande edificio rurale di epoca romana, senz’altro la più antica costruzione del paese, nella regione detta “S. Pancrazio” per la presenza di un pilone votivo a lui dedicato.

Nella zona sono state rinvenute inoltre 6 monete in bronzo, due delle quali risalgono sicuramente all’età degli Antonini, più esattamente ai primi anni dell’imperatore Galieno (verso il 250 d. C.). In base ai ritrovamenti si può ipotizzare che in origine Cambiano fosse una “villa” romana. Il termine “villa”, che si ritrova nei Catasti Antichi di Chieri, significa che Cambiano era importante per il numero di abitanti o per i signori o le autorità che vi risiedevano. La vecchia”villa” doveva essere costituita da capanne in legno, mattoni crudi e paglia, materiali dunque facilmente infiammabili.

Ciò fa pensare che essa sia stata distrutta da un incendio e sostituita da un nuovo insediamento in un luogo più difeso, sulla “motta” che oggi corrisponde alla Via del Castello e a Piazza G. Grosso, e nelle vie del quadrilatero difeso da mura e formato da Via Mosso, Via Cavour, Via Borgarelli, via S. Franceso d’Assisi.

Cambiano è poi ricordata in due carte dell’anno 1034 /cartulae permutationis), in cui l’abate del monastero di Nonantola (Modena) permuta dei possedimenti in Piemonte (e tra essi Cambiano) con i conti di Biandrate, di origine longobarda, fedeli all’imperatore, che divennero così signori del Chierese e lo rimasero per due secoli. Nel 1064 nel grande “prato di S. Vincenzo” presso il torrente Tepice, nel territorio di Cambiano, Pietro di Savoia, primogenito della marchesa Adelaide, assistito dalla madre, dal Vescovo Cuniberto di Torino e dai Giudici del Sacro Palazzo, circondato dai suoi Vassalli, tenne un parlamento per rendere giustizia e deliberare di alcune questioni.

Per tutto il Medioevo Cambiano fu strettamente legato alle sorti di Chieri, al punto che fu bruciato da Federico Barbarossa insieme ad essa e nel 1155 i Cambianesi concorsero nel ricostruire Chieri. Da allora il rapporto con la potente vicina fu sempre privilegiato: infatti nel 1253 risulta che Cambiano fosse retto da un podestà e da consoli e fosse alle dipendenze di Chieri, ma non soggetto ad essa, bensì si costituisce come una sua propaggine.

Secondo alcuni studiosi, sarebbe entrato a far parte del territorio del potente Comune sin dall’inizio. Gli abitanti di Cambiano, come risulta dagli Statuti di Chieri del 1313, erano considerati cittadini di Chieri, di pari rango; molti di essi erano aggregati al “quartiere delle Arene” e. grazie a questa condizione, godevano di parecchi privilegi, possedevano i diritti dei Chieresi, senza i vincoli che limitavano gli altri alleati del libero Comune.

CambianoAd esempio, il vino non si poteva importare a Chieri da fuori, con l’eccezione di Cambiano, a cui era permesso vendere vino “tanto quanto ne producevano i suoi territori”; ai cittadini di Cambiano erano applicate le stesse pene riservate ai Chieresi. Tra il 1500e 1600 Cambiano cadde sotto il dominio dei Savoia e Carlo Emanuele I lo assegnò al conte Scoto.

Nell’epoca travagliata delle guerre di successione fu saccheggiato dalle armate francesi e spagnole, così come testimonia anche un documento ritrovato nell’archivio comunale e intitolato “La Notte de’ danni et sachegi operati da spagnoli al luogo di Cambiano nell’anno 1651”, durante le lotte tra la reggente Cristina di Francia, la famosa Madama Real, e i duchi Maurizio e Tommaso di Savoia, sostenuti dalla Spagna.

Al conte Scoto succedettero i Borgarelli, poi il marchese Tuninetti Conte di Pertengo e per ultimo il marchese Cesare Ferrero di Cambiano.

Infine Cambiano, entrato ormai a far parte del Regno Sabaudo e poi del Regno d’Italia, iniziò una vita pacifica e tranquilla, dedita all’attività agricola (con la tradizionale produzione di grano, rape e asparagi e poi pomodori) e ai commerci, sfruttando la felice posizione al centro di alcune direttici importanti, e sviluppando un’intensa attivià artigianale, soprattuto con la produzione di liquori ed imballaggi (quest’ultima dura tuttora, con fabbriche di cassette e un’importante Cartotecnica), unita all’antica produzione e lavorazione tessile (seta, canapa, cotone) purtroppo oggi abbandonate.

Castelli del circondario

“i Mosi”

Tra i vari insediamenti medievali disseminati lungo la “via alta” tra Chieri e Santena, mentre Ponticelli pare avere origni altomedievali e Fontaneto fu una località frequentata sin dall’età romana, i Mosi e i Mosettivennero , apparentemente, costruiti molto tardi, quando già la Repubblica chierese era affermata.

Il primo, infatti, compare solo a partire dai Catasti del 1275, come appartenente alla famiglia dei Gribaudi, quindi ritorna negli Statuti del 1311 (=Moxios), nei Catasti del 1327, nella richiesta del Comune di difendere castelli e casali del 1366 (=Moxos) ed, infine, negli Estimi del 1425, dove viene elencato tra i “casales” con il toponimo “Mossios” ed è accatastato tra le proprietà dei Broglia.

La sua funzione doveva essere quella di cascina-granaio, fortificata per impedire le razzie, e tale caratteristica mantenne nel tempo, sino al 1748, allorchè entrò a far parte della “contea di Fontaneto”, infeudata ai Levrotti.

Oggi i Mosi presentano come un edificio monolitico, in pessimo stato di manutenzione, a quattro piani fuori terra serviti da due scale: la prima, sul retro, inglobata nel perimetro dell’edificio, è chiusa, in alto, da un abbaino settecentesco che ne denuncia il periodo di costruzione; la seconda, sul fronte verso la corte, è una tipica scala-torre che termina in un loggiato, anch’esso databile al XVIII secolo (…)

Nulla sopravvive che possa testimoniare del casale medievale: tutte le luci sono di fattura moderna. Si deve dedurre, quindi, che i Levrotto operarono delle sostanziali trasformazioni sul fabbricato per adattarlo alle loro esigenze. Interessante, addossato al muro del fronte posteriore, un pozzo ancora parzialmente coperto da u n tettuccio in coppi.

“i Mosetti”

Tra la casa-forte dei Mosi e quella di Fontananeto (oggi scomparsa e sostituita dalla Cascina Guetto). sorge il “castello” dei Mosetti, un edificio di significativo interesse architettonico , più che storico, che meriterebbe un’accorta opera di restauro per rimuovere alcuni interventi maldestri effettuati negli ultimi decenni.

La sua origine, come quella dei vicini Mosi, parrebbe relativamente tarda, non precedente la metà del XIII secolo. Il Bosio sottolinea la sua presenza già nei Catasti chieresi del 1275 e del 1327, quando il bene apparteva alla famiglia dei Gribaldi; tuttavia è significativo che, negli Statuti del 1311 (riportanti norme emanate dal Comune nel secolo precedente), non compaia tra le cascine fortificate destinate a raccogliere il grano che deve essere inviato a Chieri.

Solo nel 1366 – con toponimo “Moxatos”. e da questo momento in ogni elenco dei casali chieresi – i Mosetti fanno la loro comparsa ufficiale e stabile nella storia locale e seguono il destino dei Mosi, passando, nel Quattrocento, ai Broglia e, nel 1748, ai Levrotto.(…)

L’edifico si presenta come una costruzione gotica, confermando i dati sulle sue origini. Il fabbricato storico ha una pianta quadrata con una piccola corte centrale sulla quale si affacciano tre corpi di due piani fuori terra, ed un quarto corpo a tre piani sormontati da un passo di ronda che si apre all’esterno con un loggiato.

Al centro del fronte principale una torre quadrangolare sovrasta il portale carraio d’accesso al cortile. Lo schema parrebbe derivato dalle torri-porta dei ricetti e richiama quello di Castelguelfo. Apparentemente la torre è coperta da un tetto ad un solo spiovente, rivolto verso l’esterno, ed anche questa tipologia trova diversi riscontri nel territorio (Corveglia, Castello di Carmagnola).

L’interno del cortile conserva, al centro, un pozzo in laterizi con copertura in coppi. Le pareti dell’edificio che si affacciano sul cortile hanno oggi un paramento in mattoni a vista ed una, in particolare, è arricchita da due fasce marcapiano formate da laterizi lavorati simili a quelli delle cornici delle finestre ogivali (un tempo “bifore”).

La mancanza di decorazioni e figure geometriche o vegetali e la sola presenza di mattoni con il bordo arrotondato, alternativamente concavo e convesso, fanno pensare ad una costruzione tardo-trecentesca, frutto di un rinnovamento di parte della casa operato negli anni in cui anche Chieri iniziava la grande ricostruzione secondo il gusto gotico. La borgata dei Mosetti, che comprende anche altre cascine, oltre al complesso del “castello”, possiede una cappella barocca intitolata a san Rocco.

Chiesa Confraternita Spirito Santo

Chiesa Confraternita Spirito SantoNella seconda metà del Cinquecento, per aderire al desiderio di rinnovamento spirituale voluto dal Concilio di Trento, si sollecitò la costituzione, in ogni parrocchia, di Congregazioni laiche organizzate secondo i principi delle medievali Compagnie dei Battuti e Disciplinati o Flagellati.

Nel Chierese, a queste motivazioni generali, si aggiunse il desiderio di frenare il diffondersi del pensiero giansenista insinuatosi nella pololazione nel periodo di occupazione francese. Fu lo stesso Cardinale Della Rovere che, nel 1571, sollecitò a Chieri la fondazione della Compagnia del Santissimo Sacramento e, su questa linea, cercarono di muoversi anche le parrocchie minori, che, a loro volta, videro sorgere le diverse Congregazioni della S. Croce, del SS. Nome di Gesù, dello Spirito Santo, del Rosario.

Anche Cambiano non fu da meno e, il 22 aprile 1580, fu fondata la “Compagnia dei Disciplinati sotto l’Invocazione dello Spirito Santo”. Questa notizia, riportata dai regis tri parrocchiali, suscita, tuttavia, alcune perplessità, poichè i libri della Confraternita ne anticipano la fondazione al 1472; inoltre, già nel testamento di un certo Rolando Fornero, scritto nel 1517, compare come beneficiaria.

Queste chiare attestazioni confermano, quindi, che la Confraternita già esisteva prima del 1580 e che, forse, in quella data fu semplicemente rifondata secondo i canoni tridentini. Successivamente furono istituite, a Cambiano, altre Congregazioni laiche, quali quella delle Umiliate (1652), del Rosario (1654), del Corpus del Sacramento (1746, ma, anche in questo caso, una Compagnia del Corpus Domini parrebbe esistere in epoca anteriore). Tutte le Confraternite si appoggiavano, per le loro funzioi, ai diversi altari della Chiesa di S. Vincenzo, sino al 1620, quando quella dello Spirito Santo decise di costruirsi una propria cappella privata.

Nacque così la Chiesa dei Disciplinati ancora esistente a lato della Torre-porta del ricetto, come attesta una lapide murata sull’esterno della parete destra: “IHS / 1620 ali 3 Xbre (december) se /dato principio alla / pre(sen)te fabrica delli / disciplinati dello Spirito / Santo di Cambiano”. Il cantiere fu chiuso nel 1633, ma, n ei decenni successivi, fui riaperto, almeno in due occasioi, per prolungare la chiesa (1667) e per abbellire la facciata (1711).

L’edificio che nell’interno non possiede motivi architettonici significativi, testimonia dell’impegno economico affrontato pur con una modesta disponibilità di mezzi finanziari. La parete sinistra fu ricavata utilizando in parte le preesistenti mura del ricetto, mentre il fronte di modeste dimensioni, tripartito da due lesene e sormontato da un timpano, mantiere un’impostazione classica, accentuata dalle due nicchie laterali che, con lo sfondato della finestra rettangolare e del portale, ne rompono la monotonia. Gli stucchi e le statue, così come il bel portale ligneo, sono forse frutto dgli interventi settecenteschi.

Parco della Rimembranza e Cappella della Malmontea.

chiesettaIl nome Malmontea, ad indicare la zona intorno alla piccola collina su cui sorge una semplice chiesetta datata maggio 1605, è già presente in un documento del 1417.

L’edificio ora si trova in un’area parzialmente edificata, mentre in passato distava “un quarto di miglio dal paese”.

Il luogo è rimasto tuttavia suggestivo, anche per la leggenda che fa risalire la costruzione della cappella, dedicata alla Natività di Maria, ad un ex voto dopo una battaglia qui combattuta e che spiegherebbe il nome “Malmontea” col fatto che in questa località scoscesa i nemici (francesi?) trovarono una strenua resistenza e la definiro perciò “mal montée”.

Non è stato ancora chiarito da quale episodio storico tragga origine la leggenda. E’ testimoniato invece che, intorno alla chiesetta, nel 1929, durante i lavori per creare il Parco della Rimembranza in onore dei caduti, furono distrutte alcune fondamenta apparteneneti quasi sicuramente ad un edificio più anti co.

“Distante un quarto di miglio dal paese, fabbricata con limosine private dopo una guerra guerreggiata sul luogo….”. Così parla della cappella della Malmontea dedicata alla Madonna della Natività il priore Alessio a metà dell’800 in un “elenco delle chiese e cappelle che si trovano nel distretto della Parrocchia di Cambiano”.

La cappella, la cui edificazione viene fatta risalire al 1605, come riportano due iscrizioni i terracotta ai latti della porta fu però costruita sicuramente in epoca più antica e in quell’anno solo riedificata. A questa conclusione giunse il teologo Mosso dopo aver asssistito personalmente ad alcuni ritrovamenti nel 1925 durante i lavori per la costruzione del Parco della Rimembranza.

Ecco la descrizione di quanto vide: “Davanti alla cappella a sette o otto passi erano visibili le fondamenta di due pilastri che un tempo costituivano l’avancorpo della medesima, fatte con pietre ben legate con calce. Esse furono però distrutte durante i lavori.

Intorno alla cappella venne tolto un palmo o due di terreno a nord, est e ovest e si notò un corso di due pietre e una muratura molto più antica, con qualche mattone più lungo, pietre e ammassi squadrati e pietrificati di sabbia come si vedono alla base della torre medioevale.

A sud del muro della facciata aveva mattoni meno cotti di struttura più recente a dimostrare che era quello fabbricato dopo l’abbattimento dell’avancorpo”. Dobbiamo quindi immaginare che prima del 1605 la cappella fosse costituita da una volta sostenuta da tre muri, chiusa davanti solo con un cancello di legno.

La riedificazione di quell’anno quindi comprese l’eliminazione della parte anteriore e la costruzione della facciata che prima non esisteva. Sempre durante i lavori nel 1925 furono trovate ossa umane deposte poi in una buca a lato della cappella e due scheletri, uno davanti alla porta e l’altro a ponente.

E’ di questo periodo ancora il ritrovamento in una vigna presso la Malmontea di una piccola moneta che riporta la data del 1774, epoca di Carlo Emanuele III, re di Sardegna, con incisa la seguente dicitura: “Sard(iniae) Cyp(ri) et Jer(usalem) d(ux) Sab(audiee) et m(ontis) f(errati) p(ricess)….” Infine in qualche campo intorno si sarebbero trovate altre ossa umane, tombe in muratura ed altre monete.

La Chiesa Parrocchiale dedicata ai Santi Vincenzo e Anastasio

Il monumento più rappresentativo di Cambiano, quello che balza evidente all’occhio del passante e nello stesso tempo il più pregevole sotto il profilo artistico è il complesso del campanile e della chiesa parrocchiale, edificati in tempi diversi ma coerenti per impostazione stilistica.

Più antica la chiesa parrocchiale dedicata ai Santi Vincenzo ed Anastasio, notevole nell’elegante facciata. Fu costruita dal 1740 su progetto di Bernardo Vittone, uno dei massimi architetti del barocco piemontese. Sorse sopra un precedente edificio di culto, la cui pianta pare fosse perpendicolare all’attuale, con facciata rivolta a sud anziché ad est.

Il campanile fu realizzato nel 1883, snello, slanciato verso l’alto per 52 metri con base quadrata di appena 4,60 metri di lato. Disegnato secondo i dettami del barocco vittoniano, sancì la fine di vestigia storiche: nelle sue fondamenta furono gettati i mattoni della vetusta torre campanaria, abbattuta pochi metri più in là nel giugno di quell’anno.

La Torre-Porta

torre1E’ costituita da un grande passo carraio che un tempo era chiuso da un portone, sormontato da un alto muro in mattoni, quasi privo di aperture verso l’esterno e fiancheggiato da due pareti ortogonali. Il tetto era con orditura in legno e copertura in coppi.

Risalente probabilmente al XIII secolo, fu rimaneggiata con l’aggiunta della meridiana e poi dell’orologio e con il ribassamento dell’originario arco ogivale.

Durante il Medioevo, si trovava all’opposto della seconda torre, abbattuta nel 1883. Sotto il suo arco si apriva la porta d’accesso al centro del paese, dove è l’attuale via Compajre (un tempo chiamata la “piazza” perchè era l’unica via spaziosa all’interno delle mura).

Sulle due torri stavano le sentinelle che avvertivano con fuochi e campane a stormo dei pericoli. La porta durante la giornata rimaneva aperta, sorvegliata da un funzionario detto “clavario”.

Il Ricetto

La curtis di Cambiano venne fortificata probabilmente a metà del 1200, Di questa fortificazione sopravvissero solo la Torre-porta e un tratto delle mura adiacenti, ma si possono ancora oggi individuare, nel reticolato urbano, i confini del recinto, costruito su una collinetta naturale, corrispondenti alle vie Onorio Mosso, Cavour, e Borgarelli e alla piazza Vittorio Veneto.

La via cardinale corrispondeva all’attuale via Compajre, lungo la quale sorgevano abitazioni e magazzini. Iniziava con la Torre-Porta, detta anche Stellina, ancora esistente, e terminava con la Torre Porta gemella che si elevava in prossimità dell’attuale Municipio.

La presenza di due torri-porta è un’anomalia dovuta al fatto che probabilmente la più antica curtis sorgeva attorno alla chiesa Parrocchiale, mentre il Ricetto fu costruito dopo, senza comprenderla, per cui fu necessario aprire una seconda porta che metteva sulla strada per Chieri per collegare i due siti, mentre la prima, la Stellina, colleg ava Cambiano nei pressi del Pilone di S. Rocco con la strada che porta da Asti a Torino.

Nella zona più elevata del centro, dove la tradizione situa un antico Castello, sopravvive solo un pozzo pubblico, citato in un documento del 1710, ma presumibilmente molto più antico.

L’Economia Cambianese dal Medioevo al Novecento

cesto2L’economia di Cambiano, almeno a quanto risulta dai documenti in nostro possesso, sembra sia stata relativamente florida sin dagli albori: la fertilità dei terreni, la ricchezza delle acque, il clima favorevole a molte coltivazioni, la posizione lungo alcune direttrici importanti di traffico e commercio furono alla base del suo sviluppo.

L’agricoltura ebbe ovviamente fin dall’inizio un ruolo fondamentale, anche se esposta a pericoli di ogni sorta: la grandine, l’eterna nemica dei nostri contadini, ma anche le locuste o cavallette che invasero le nostre terre nel 1364, la guerra con i suoi incendi, i saccheggi, le scorrerie “amiche” e “nemiche”, in particolare tra il 1300 e il 1400 all’epoca di Facino Cane e della Repubblica di Chieri e nel 1600 , il secolo di ferro, quando ad esempio nel 1630 la cavalleria alemanna, alloggiando a Cambiano, rapinò la tenuta del Gallè o quando, nel 1694, metà del raccolto ordinario di grano e la quarta parte del fieno furono portate via dalle scorrerie dei soldati nei dintorni.

Per la vicinanza dell’accampamento dell’armata francese alla regione del Giayretto, “le otto cascine di quelle parti sono state rovinate e più di venti famiglie hanno dovuto abbandonare quel luogo”.

Alle guerre potevano associarsi avverse condizioni climatiche che determinavano gravi carestie, come quella del 1570 in cui la Confraternita dello Spirito Santo organizzò una colletta (roida) al fine di “comprar vettovaglie per dare alli poveri” e l’Autorità comunale proibì i balli “per rispetto della gran carestia”. (…..) Ripercorrendo dunque la storia dell’agricoaltura a Cambiano dobbiamo ricordare innanzi tutto l’opera degli Eremitani e poi dei Cistercensi di Casanova, subentrati ai primi alla fine del 1100, che col “frater grangiarius” organizzarono nella zona dei Tavoletti una grande azienda agricola, detta appunto “grangia”, e con il loro lavoro favorirono, qui come altrove, lo sviluppo dell’economia rurale. (…..)

Ai Tavoletti una parte era coltivata a vigna (vinea de Tevoleto); in quella e nelle altre zone collinari, per esempio nel “podium nucetae” o “de nusettis” e “ad podium Nuxacii”, c’erano piantagioni di nocciole e noci, dalle quali si ricavava olio sia per uso alimentare che per rifornire le lampade, di ciliegi (ceresea) e prugni (pruneola).

Si coltivavano anche piante oggi poco o per nulla conosciute: ad esempio nella zona di Via Camporelle, “in scandoleto”, la scandela o scandella, un cereale che si mescolava alla segale, o in collina “in podium Sorbae”, il sorbo, albero che produce un frutto da far maturare dopo averlo staccato dal ramo.

I boschi in ogni caso dovevano essere assai estesi se si considerano molti toponimi medioevali che derivano da piante quali querce, roveri, sambuchi, pini, pioppi, salici e boscaglia in cui i vicini avevano diritto di pascolare in certi periodi e raccogliere rami secchi. Ancora nel 1746 vi erano 144 giornate di boschi di alto fusto. (…..)

L’alimentazione nel 1600 per le famiglie agiate era assai varia, almeno a quanto risulta da un curioso ordinato del 1682 in cui si elencano i cibi prelibati che il Comune fornisce ai predicatori quaresimali (che evidentemente…. non osservavano uno stretto digiuno!): olio di oliva, fidelli (=pasta detta anche capelli d’angelo), riso, pane, sale, anchiode (acciughe), merluzzo, cippole (cipolle?), vino, anguille, zucharo, garofano, canella (sic), fichi, sardine, pessi (pesci), cappari (capperi), tumin-a (formaggio fresco), citroni (limoni alla francese), sener (sedani), lumache, mandole (mandorle), pepe, noci moscate, uva passita, zenapa (sen ape), farina di riso, spinaci, cauli (cavoli), artichiofin (carciofi), colombotti, capponi, formaggio, butirro (burro) capretto. Si noti come siano numerose le spezie (garofano, cannella, pepe, noce moscata, senape), che caratterizzano la cucina tradizionale piemontese.(…..)

La ragion d’essere di Cambiano fu per secoli la coltivazione delle fertili terre che la circondano.

municDopo il frumento, coltivato secondo le tradizioni agricole romane, per secoli a Cambiano si visse delle produzioni portate dai longobardi: segale, fave, rape, orzo, noci usate come companatico e per l’olio.

Più tardi il grano tornò alla ribalta, ma nell’agricoltura cambianese fecero l’ingresso nuove piante, cui il terreno è particolarmente adatto: il mais, il pomodoro, l’asparago.

Quest’ultimo visse le sue stagioni più prospere fino a pochi anni addietro. Ora è stato soppiantato dal pomodoro, coltivazione per la quale il paese è celebre: il “costoluto” locale è una varietà ricercata dai buongustai e le condizioni di terra e clima di questa campagna gli sono ideali.

Ma l’economia di Cambiano non è solo agricola: si è sviluppata anche una solida attività artigianale ed industriale, favorita dagli agevoli collegamenti della statale 29 Torino-Asti-Alessandria-Genova, della tangenziale sud di Torino e dell’austostrada A 21 Torino-Piacenza-Brescia, che passano presso i suoi confini. Con diverse imprese Cambiano concorre nell’indotto dell’industria automobilistica e la caratura di maggior prestigio è data dalla presenza del Centro Studi e Ricerche Pininfarina.

I testi, gentilmente concessi dalla Proloco di Cambiano, sono tratti da: “Chieri e il suo territorio” di Guido Vanetti – edizioni Corriere, “CAMBIANO – immagini e voci sottratte al tempo” Araba Fenice Edizioni – per gentile concessione delle autrici: Emma MARIOTTO e Roberta MAROCCO

Per info Pro Loco Cambiano

Per contatti: signora Pinuccia – Tel. 011.9440.558 – cell. 3404806915 – e-mail: procambiano@virgilio.it