Dagli Atti degli Apostoli
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?

RIFLESSIONE

18 maggio 2013
HAI DA ACCENDERE?
Pentecoste

A Pasqua abbiamo celebrato la vita che vince la morte.
Ora, 50 giorni dopo (proprio questo significa in greco Pentecoste), c’è il pericolo che la Vita (con la V maiuscola) che ha vinto la morte rischia di perdere invece contro la vita (con la v minuscola).
Il grigiore del quotidiano rende tutto mollicciamente tiepido, né caldo né freddo. Sa di poco.

Dio proprio per difenderci da questo rischio ci dona lo Spirito Santo ed è interessante che la Bibbia usi il simbolo del fuoco, che con il suo rosso caldo sfida il nostro tiepido grigiume.

Il fuoco è la materia più presente nell’universo, pensiamo al sole e alle stelle: milioni di corpi infuocati sparsi in miriadi di galassie.
Pur lontanissime, bucano il buio della nostra notte per farci sognare.
Gli antichi – che non conoscevano i dettagli della scienza, ma avevano la sapienza dell’essenziale – dicevano che il mondo era composto da 4 elementi: terra, acqua, aria e fuoco.

La caratteristica particolare però del fuoco, qui sulla terra, è che non è scontato: va acceso, va controllato, va domato.
Ancora di più: il fuoco è vivo, va alimentato e nutrito o si spegne.

Ci si mettono poi gli elementi della natura, come il vento, a cercare di spegnerlo. Pure in questo caso il fuoco è unico: il vento spegne un fuoco piccolo, ma scatena un fuoco grande.
Il vento spegne una candela, ma sfa scatenare un incendio.

L’uomo preistorico ha di fronte a sé la terra dura da smuovere, l’acqua del cielo da controllare e quella del mare da cui trarre cibo, l’aria da cui difendersi per il gelo o perché scoperchia le capanne.
Il fuoco non c’è. Il fuoco è da accendere. Il fuoco è da custodire.

Quando l’uomo scopre il fuoco, il primo istinto che ha è il piacere di sedersi attorno ad esso. Il fuoco crea condivisione (lo è ancora per noi, basti pensare all’atmosfera creata dal camino).

Quel fuoco che per noi è così ovvio e quotidiano, per l’uomo primitivo è un dono prezioso del cielo da venerare: illumina la notte, difendendo dagli assalti del nemico o delle bestie scalda, permettendo di vincere il gelo dell’inverno
cuoce, rendendo gli elementi raccolti più gustosi e buoni tempra il metallo, per strumenti resistenti così da aiutare la fatica toglie le scorie, facendo emergere schegge d’oro puro e fondendole distrugge l’involucro andando all’interno di ciò che avvolge colora la casa permettendo di guardare i volti e di vedere cosa fai.

L’uomo però scopre che il fuoco è anche nemico e lo incolpa.
Il fuoco scotta, brucia, ferisce, distrugge, divora.
L’uomo scappa dal fuoco, sta lontano, lo spegne, lo teme.

La storia dell’incontro e dello scontro dell’uomo col fuoco è la storia dell’evoluzione della società.
Non per niente fin dalla preistoria il fuoco è considerato “sacro”.
Tutto questo – in positivo e in negativo, nel male e nel bene – succede perché il fuoco ha una qualità unica in natura:
fa diventare come se stesso. L’acqua bagna, ma non trasforma in sé.
Gli elementi sporcano o colorano, appiccicandosi solo in superficie.
Solo il fuoco trasforma in fuoco ciò che abbraccia.

Lo Spirito Santo, è la presenza ovvia di Dio. Come il fuoco.
Non ci pensi al valore del fuoco quando accendi una sigaretta o quando una scintilla di fuoco accende il motore se giri la chiave.
Ci pensi al fuoco – come a Dio – quando manca e ti trovi al buio.
Ci pensi al fuoco – come a Dio – quando lo incolpi con rabbia.

Il fuoco – come Dio – rispetta le scelte dell’uomo, anche nel male.
Quando il fuoco crea disastri, è perché un uomo lo ha appiccato, o è spesso solo per quella superficialità che trascura dettagli.

L’ovvia presenza di Dio Spirito Santo è questo dono del fuoco, che illumina, scalda, trasforma, purifica, muove, crea comunità, è l’energia che ci permette gesti grandi e gesti scontati, anche se noi non ci accorgiamo del valore della sua presenza.

L’ovvia presenza di Dio Spirito Santo, nella vita, come il fuoco, è ciò che ci vuole avvolgere per renderci come lui, è ciò che vuole farci vincere il molliccio tiepido grigiume della vita.

In dialetto bergamasco si descrive così il carattere di questa città: “sota la sender brasca”. Sotto la cenere c’è la brace.
Anche se noi vediamo cenere, anche quando tutto sembra spento, basta una scintilla per tornare a ravvivare un grande fuoco.
Così può riaccendersi Dio in noi. Così Dio può riaccendere noi.