Scritto da di Sonia B.
Domenica 06 Gennaio 2008 13:45
cancumFinalmente è primavera, il caldo tepore del sole fa venir voglia di vacanze e, in effetti, stiamo liberando la fantasia da qualche giorno per trovare una meta nuova e a noi sconosciuta. Una mattina mio marito durante una colazione stranamente silenziosa propone: “Andiamo in Messico, ci noleggiamo un’auto e ci facciamo un giro a contatto con il popolo messicano”. Rifletto per qualche secondo, per me sarebbe la prima esperienza di viaggio di questo genere, ma per lui no, lui ha visto quasi tutto il mondo cosi, mi fido, mi devo fidare. Accetto. Inizia una strenua ricerca di un volo non troppo costoso e dopo qualche giorno eccolo lì, dal 18 al 30 agosto, sono solo 12 giorni ma saranno intensi.

Quel sabato mattina saliamo sull’aereo adrenalinici ma anche un po’ angosciati dalla notizia che un uragano sta per abbattersi sulla penisola dello Yucatàn, ma ormai siamo in ballo e anche questi imprevisti fanno unico questo viaggio. Arriviamo a Cancun in piena notte, raggiungiamo l’hotel e ci facciamo una bella dormita che ci aiuta ad affrontare il jet-lago Al risveglio il nostro pensiero è rivolto a Dean, l’uragano in arrivo. Usciti in strada l’angoscia, almeno la mia, aumenta a livello esponenziale, i messicani costruiscono dei veri e propri muri davanti alle vetrine dei negozi e inchiodano grandi assi di legno davanti alle finestre. Lo sconforto mi assale, vorrei tornare a casa con il primo aereo, ma non posso deludere mio marito, ho promesso che mi sarei adattata a tutto. Ci dicono di scappare da Cancun e lo facciamo senza esitare. Ci dirigiamo a Merida facendo prima tappa a Chichen-Itzà, grandioso e affascinante sito maya. Ci prendiamo tutto il tempo perché l’uragano è in arrivo tra un paio di gIornI.

Fin dal primo momento ci rendiamo conto che il clima messicano ad agosto è quasi insopportabile. Il sole ci guarda sempre dall’alto, a picco sulle nostre teste e l’umidità raggiunge livelli altissimi così che appena svegli ci sentiamo già stanchi. A quanto pare anche l’auto che abbiamo noleggiato non sopporta il caldo e il secondo giorno ci obbliga ad affrontare un nuovo problema. Alla periferia di Merida decide di mettersi a fumare. lo e mio marito ci guardiamo con un po’ di sconforto e poi troviamo la forza di reagire. Riusciamo a farci cambiare l’auto e, non so perché, da quel momento mi sento più forte, più sicura e affronto il viaggio con uno spirito nuovo.

Dean passa e se ne va e noi ce la caviamo con un giorno in hotel e un forte vento fuori. Il nostro desiderato viaggio riprende e ci dirigiamo a sud imbattendoci sempre più nei disastri provocati dall’uragano. Abbiamo visto alberi sradicati, crollati su auto e case, e pali della luce completamente divelti. E proprio quel giorno viviamo un’esperienza unica. Alla ricerca disperata di un benzinaio (là sono davvero pochi non è certo come da noi), finiamo in un paesino sperduto. In quel momento ci rendiamo conto di quanto siamo piccoli davanti alla vastità del mondo. Proprio noi ci troviamo lì in un luogo che nulla ha a che vedere con il nostro mondo, perdiamo coscienza dello spazio e del tempo e osserviamo. Una piazza carina e senza troppe pretese attorno a noi, la musica diffusa, un mercato della frutta con le noiose mosche che ronzano attorno e tutte le donne che fanno acquisti per la famiglia. Ci fermiamo in un bar (espressione troppo moderna per quel che era) a mangiare delle fajitas, assolutamente non buone ma non ci importa, l’atmosfera è magica. Per un’ora siamo parte di una vita semplice e modesta che niente ha a che fare con la nostra. Riprendiamo il viaggio sereni.

Ma il viaggio è ancora lungo e le emozioni ancora tante. Visitiamo quanti più siti maya troviamo sul nostro cammino. Uno più bello dell’altro, ci immergiamo in una storia quasi ignota e per questo molto affascinante. Approdiamo a Campeche una splendida cittadina coloniale e ancora una volta ci troviamo a vivere un’ altra realtà. L’hotel ci offre uno stanzone alto almeno quattro metri, con le pareti tutte dipinte d’azzurro, la porta col catenaccio, una finestra altissima con una corda per aprirla, un ventilatore a soffitto piuttosto precario e un bagno con simpatiche piastrelle rosa e una grossa manovella per lo sciacquone. Non ci possiamo credere, la nostra bella casa piena di confort sembra non poter esistere.

Un’ultima esperienza da raccontare la viviamo alle Cabañas di Don Antonio. Simpatici bungalow in muratura con il tetto di paglia immersi ne1la foresla yucateca. A una settimana dal passaggio di Dean, qui la corrente non è ancora stata ripristinata, il simpatico albergatore ci offre una valanga di candele e una piccantissima cena a lume di candela, ovviamente. Cosi festeggiamo il mio compleanno, e lo ricorderò per sempre come il più originale. Prima di spegnere l’ultima candela, prima di dormire auguriamo la buonanotte al piccolo geco che condivide la capanna con noi.

Quando l’aereo decolla per tornare in Italia, lasciamo un pezzo di cuore in Messico e ci portiamo a casa tanta pace e forza.