Cenni storici

meda panoramaMeda è città dalla storia antica, più che millenaria. Piccolo borgo medievale prima, cresciuto ai piedi e all’ombra del potente Monastero delle Monache, borgo agricolo poi, e con il volgere dell’ultimo Ottocento alla contemporaneità attivamente partecipe dell’incipiente e vigorosa crescita industriale ed economica milanese e lombarda, che nel breve volgere di qualche generazione ne ha fatto una città ricca e prosperosa, nota per le sue produzioni nel campo del mobile e dell’arredamento.

Le origini di Meda si perdono nell’alto Medioevo, incerte come quelle di altre comunità e legate alle origini leggendarie, ancorché verosimili, del Monastero di San Vittore. Incerte anche le origini del nome – per molti secoli Medda – per le quali continuano ad essere date diverse e a volte suggestive interpretazioni.

La vicenda della fondazione del cenobio ad opera dei Santi Aimo e Vermondo fu narrata diversi secoli dopo, intorno ai primi del Quattrocento, in due preziosi codici oggi in possesso della Biblioteca Trivulziana di Milano e del Getty Museum di Malibù in California, attribuiti a Giovannino e Salomone De’ Grassi e riccamente miniati dall’abile mano di Anovelo da Imbonate.

Con il trascorrere dei secoli la storia raccontata nei codici, dall’evidente intento agiografico essendo stata commissionata dallo stesso Monastero che venerava i suoi santi fondatori custodendone anche i corpi, fu trasfusa senza sostanziali modifiche in ogni pubblicazione destinata a trattare delle origini di Meda.

Vuole la tradizione alto medievale, poi riversata nei codici, che due fratelli della nobile famiglia milanese dei Corio, Aimo e Vermondo, assaliti da cinghiali mentre erano a caccia nelle selve che ricoprivano un tempo le prime colline brianzole, si erano dovuti rifugiare sugli alberi e, disperando di salvarsi, avevano fatto voto di edificare in quel posto un monastero e di passare in orazione il resto dei loro giorni in caso di salvezza.

Fatto il voto i cinghiali si allon tanarono subito, e allora i giovani tornarono nei boschi di Meda ed edificarono sul colle del miracolo il Monastero, “cui diedero la regola di S. Benedetto e il nome di S. Vittore”. Nella sua “Breve istoria di Meda e Traslatione de’ Santi Aimo e Vermondo …” del 1629 Emanuele Lodi riprende la vicenda e la colloca, non si sa su quale base, nel 776 e tale data diventa col passare del tempo un punto di riferimento per diversi autori, anche se taluni ragionamenti spingono alcuni studiosi a spostare quel momento di un cinquantennio.

Al di là delle oscillazioni di chi ha tentato più o meno attendibili ricostruzioni storiche, a dare maggiori certezze vengono però in soccorso i documenti. La prima citazione del Monastero di San Vittore è infatti in un documento dell’archivio di S. Ambrogio di Milano dell’851, e dallo stesso archivio si ricava che pochi anni dopo, nell’856, l’abate scambia con Tagiperga, badessa del Monastero di Meda, alcuni fondi.

Dopo queste test imonianze significative di una fondazione certo anteriore a quelle date, la storia del Monastero di San Vittore può contare sul suo stesso preziosissimo archivio (ciò che almeno resta), scrupolosamente conservato oggi dalla nobile famiglia Antona Traversi Grismondi che vive i luoghi che già furono del convento benedettino.

Non possiamo essere certi che la storia dell’insediamento umano su questo territorio sia cominciata giusto con la fondazione del Monastero, ma è certo che la storia dei medesi, lungo tutti i secoli che si sono succeduti, è stata sempre strettamente collegata alle istituzioni ecclesiastiche e uomini di Chiesa sono stati molti dei suoi principali protagonisti.

Il Monastero, assai potente fin dalle origini per i molti diritti feudali di cui era titolare, visse più o meno fiorente fino a quando nel 1798 non fu soppresso a causa delle necessità finanziarie della politica di guerra di Napoleone, e le sue vicende si intrecciarono di frequente con quelle della più o meno coeva Chiesa di Santa Maria, poi parrocchiale, che i medesi ritennero per molto tempo la loro vera Chiesa, in qualche modo simbolo dell’identità stessa dei borghigiani.

Anche dopo la soppressione del cenobio, nell’Ottocento che volgeva alla secolarizzazione e poi ancora nell’ultimo secolo, la vita quotidiana dei medesi è rimasta comunque sempre intimamente legata alle istituzioni religiose.

MedaPosto che le origini del Monastero si possono ragionevolmente ritenere di epoca carolingia o tardo longobarda – Vermondo è lo scudiero di Desiderio nell’Adelchi manzoniano e Aimo (o Aimone) è nome di origine germanica che si ritrova in chartae dell’epoca del re longobardo – presto lo troviamo nei documenti investito di diritti e poteri di derivazione feudale, il più importante fra i quali è senz’altro il districtus, per il suo carattere pubblico e quindi per le sue dirette conseguenze sulle cose e le persone che appartenevano al territorio interessato. In termini attuali e con la prudenza che tale trasposizione richiede, significava ogni potestà per amministrare un territorio, compresa quella giudiziaria, fatti salvi ovviamente quei poteri che appartenevano alle autorità da cui proveniva la stessa investitura feudale.

I territori e le comunità soggette al Monastero di Meda erano diverse, ma ad accrescere la potenza delle Benedettine si aggiungevano le molte terre possedute come diretta proprietà, sparse qui e là su un ampio territorio, e molti di quei diritti medievali correlati al fatto di essere istituzione religiosa, proprietario e titolare di districtus al tempo stesso. A fianco del monastero troviamo già nel 1036, come destinataria di donazioni, la Chiesa di Santa Maria, le cui origini devon o quindi essere anteriori.

Non dovette passare però troppo tempo da quella data che ogni diritto su di essa – non sappiamo perché – passò al potente Monastero, a cominciare da quello di sceglierne il Vicario, scelta che avveniva nella forma, fortemente simbolica dell’epoca, dell’inginocchiarsi davanti alla Badessa per l’imposizione del berretto sacerdotale. Questa forma di sudditanza darà origine a secolari contrasti fra la Chiesa dei medesi e il Monastero, sempre risolti a favore delle Monache e cessati solamente con la soppressione del Monastero.

Sulla questione dei diritti del Monastero il primo e decisivo intervento fu quello dell’Arcivescovo Robaldo nel 1138, risolutivo della disputa fra il Prevosto di Seveso e la Badessa del Monastero di S. Vittore per la nomina del Vicario. I contrasti furono però sempre particolarmente aspri soprattutto fra i medesi e il Monastero, tanto che sul finire del XII° secolo gran parte degli abitanti decisero perfino di demolire le proprie case e di trasferirsi altrove portando con loro i materiali.

Molte delle tensioni di quegli anni interessarono perfino i pontefici Alessandro III° e Clemente III°, che dovettero intervenire direttamente con lettere o delegare altri, come Ognibene vescovo di Verona, nei giudizi.

La conseguenza fu che venne ribadito il diritto della Badessa a non far costruire nessuna chiesa a Meda senza suo permesso. Anche verso la metà del Cinquecento Giulio III° confermò al Monastero quel primato sulla Chiesa vicina. Sulla questione della Chiesa di Santa Maria il Monastero non indietreggiò mai, neanche quando vendette alla comunità che viveva intorno al cenobio gran parte dei suoi diritti. Come in altri piccoli borghi – facendo seguito a quanto era avvenuto prima a Milano e nelle altre città e poi nei più modesti centri urbani – anche i medesi avevano preso col tempo coscienza di essere capaci di amministrarsi autonomamente.

Seppure legandosi al più potente e vicino capoluogo, avevano p otuto avere una propria autorità – è del 1211 un atto di nomina di consoli e podestà, ma Meda è citato come “comune” già in un documento del 1178 – e con il passare del tempo erano giunti a un accordo con il quale, in cambio di una ingente somma di denaro, mille lire di terzioli, il Monastero alienava i diritti più importanti. È probabile che di fronte all’autonomia comunale fosse ormai difficile esercitare quei diritti e che quindi, come successo altrove, la vendita fosse conveniente anche per le monache, eppure la badessa Maria di Besozzo, firmataria nel 1252 della convenzione, mantenne al Monastero ogni diritto sulla chiesa di S. Maria e sulla nomina del Vicario.

Siamo comunque oramai nel Basso Medioevo e l’autonomia comunale, anche se giunta tardi e quanto mai limitata nei piccoli borghi, comincia a cedere il passo ai signori locali, diventati potenti da queste parti prima con la forza e poi in virtù del riconoscimento del loro ruolo per diritto. Meda si legò così indissolubilmente – e non poteva essere diversamente vista la vicinanza con la città – alle vicende di Mila no, giurando fedeltà prima ai Visconti e poi agli Sforza.

Anche i medesi vissero quel terribile periodo di lotte e devastazioni che seguì al primo discendere di stranieri in Italia alla fine del Medioevo: lanzichenecchi, spagnoli, francesi, svizzeri, eserciti più o meno feroci che guerreggiando a più riprese sul territorio milanese portavano ovunque saccheggi e desolazione.

Al governo del Ducato si succedettero momentanei conquistatori che si alternavano agli ultimi Sforza, così che questi e altri fattori di debolezza che ne discendevano, nel quasi cinquantennio che passò dalle pretese di Luigi XII° di Francia all’incameramento del Ducato da parte di Carlo V°, significarono per i medesi non solo depauperamento del territorio e riduzione della popolazione ma soprattutto paure e incertezze quotidiane e per almeno un paio di generazioni.

Fu tuttavia proprio in quel periodo che il Monastero intraprese e portò a conclusione l’edificazione di ciò che di più prezioso dal punto di vista artistico e architettonico il millenario cenobio ha lasciato in eredità alla città di oggi: la Chiesa di San Vittore. Riassestate le finanze dopo un lungo periodo di turbolenze e di difficoltà interne che avevano caratterizzato gran parte del secolo XV°, non senza l’apporto benevolo delle riduzioni fiscali concesse dagli Sforza, per il Monastero era evidentemente venuto il momento di edificare al posto della modesta chiesa conventuale esistente un’altra assai più sfarzosa.

Nell’incertezza delle attribuzioni, dovute alla mancanza di documenti che attestino con certezza la paternità del progetto architettonico e pittorico e che certo dovevano un tempo esistere nell’archivio monastico, si sono fatti molti nomi, ma certo le monache non devono aver lesinato sulle spese perché architetti e pittori sono stati scelti fra i migliori che operavano all’epoca nel Milanese. La Chiesa, completata nel 1520 sotto la badessa Maria Cleofe Carcano e consacrata nel 1536, fu costruita secondo regole claustrali, composta cioè di una parte anteriore, aperta ai fedeli, e di una parte posteriore, riservata alla monache, e fu interamente affrescata.

Passato definitamente agli spagnoli il dominio dello Stato di Milano, vennero a poco a poco assorbite le ferite causate dalle armi. Pur con i problemi dovuti a una pesante tassazione e a un rinnovato infeudamento di larga parte dello Stato, si aprì un periodo di maggiore tranquillità, lungo e pacifico se rapportato a quelli precedenti (se si eccettuano i momenti di carestia e la grande tragedia della peste manzoniana aggravata dalle discesa dei Lanzichenecchi che andavano a combattere a Mantova, oltre a qualche altro sporadico episodio bellico).

In qualche modo si può prolungare ancora questo periodo con il passaggio, non indolore, del Ducato agli Austriaci agli inizi del Settecento, fino agli effetti della Rivoluzione Francese. È anzi proprio questo secolo, e in particolare il governo teresiano, che una tradiziona le storiografia descrive come una sorta di periodo d’oro per il Milanese.

Al di là di queste semplificate letture di ciò che è stato e tenuto conto che pure in uno dei luoghi (già allora) più ricchi d’Europa la grande maggioranza della gente conduceva un’esistenza miserevole, Meda viveva oramai gli eventi e la quotidianità non diversamente dalle altre comunità di questa parte del Ducato, compreso quell’insediamento di nobiluomini, parte di una nobiltà ormai molto ampia, come i De Capitani e i Clerici, che nel tempo avevano acquistato a Meda significative proprietà.

Come altrove, considerato che occorreva anche amministrare le proprietà trascorrendo sul posto del tempo, sorsero anche nel borgo, vicino al potente Monastero, per le esigenze di queste due famiglie, due bei palazzi che ancora oggi ornano il centro storico monumentale della città.

Accomunata ad altre realtà vicine anche da una crescita stentata, conseguenza di un’agricoltura basata su suoli non particolarmente fertili, integrata a livello di sussistenza dalla bachicoltura e da poche altre attività, la popolazione mal sop portava nel Settecento i limiti posti da ordinamenti ormai superati, che frenavano sviluppo economico e mobilità sociale e apparivano insopportabili non meno che altrove.

Modesto era il borgo – 1.325 abitanti nel 1771 – e debolissime erano peraltro le istituzioni locali: ancora a metà del XVIII° secolo, a parte la Deputazione, l’apparato amministrativo che reggeva il Comune era costituito essenzialmente da un console, a tutela dell’ordine pubblico, e da un sindaco, responsabile della comunità, eletti “a pubblico incanto” dall’assemblea di tutti i capifamiglia, cui si aggiungevano un cancelliere ed un esattore scelto con asta pubblica, che avevano il compito della compilazione, della ripartizione e della riscossione delle imposte annuali.

Le specificità medesi, per quello che è lo stato di una ricerca storiografica ancora lacunosa, sono legate in questo periodo a vicende particolari, tutte interne alla comunità, anche se esemplificative di fenomeni più ampi o di avvenimenti più grandi. Con la lunga pace ci fu il tempo di rinnovare i contrasti tra medesi e Monastero delle Monache riguardo alla Chiesa di Santa Maria.

Fu a seguito di una delle famose visite pastorali del primo Borromeo che nel 1581 S. Carlo, giudicando la chiesa esistente troppo piccola per i fedeli, prescrisse che se ne costruisse una nuova con annesso campanile. Non solo, ma S. Carlo, “salvo i diritti del Monastero per la nomina del Rettore della Cura”, trasformò in inamovibile il Vicario che per secoli era stato considerato dalle badesse un loro semplice incaricato, allontanabile a piacimento.

Queste decisioni diedero il via a nuove controversie che incendiarono gli animi ad ogni possibile occasione, costringendo più volte gli arcivescovi di Milano a intervenire. Il cardinale Federigo dovette peraltro ribadire la necessità di procedere con la costruzione della nuova chiesa perché si giungesse a un accordo fra borghigiani e Monastero sui rispettivi compiti.

Vale la pena di ricordare almeno due momenti di particolare tensione, quello intorno alla questione della Croce e quello relativo alle campane. La questione di quale Croce dovesse portarsi in processione, se quella del Monastero o l’altra della scuola del SS. Sacramento istituita dai medesi, sorta sul finire del Seicento durò più di quindici anni, fino a quando la Curia milanese non intervenne imponendo l’uso di una terza Croce.

La breve controversia delle campane si svolse invece fra la fine di dicembre del 1736 e i primi giorni del gennaio successivo e si sviluppò intorno alla volontà dei medesi di sostituire la rovinata campana maggiore del campanile con una acquistata da loro, in contrasto con la volontà del Monastero di confermare la propria supremazia sulla Chiesa di Santa Maria sostituendo la campana con una propria.

Il contrasto portò i medesi a mettere in fuga i primi soldati mandati da Milano e a cedere solamente davanti all’uso della forza. I grandi cambiamenti per la comunità medese arrivarono con Napoleone. Il 27 maggio 1798 il Monastero di S. Vittore, come altre secolari istituzioni religiose del Milanese, fu soppresso per ordine della nuova Repubblica Cisalpina.

Dopo alcuni mesi il complesso monastico e tutti i beni che esso conservava furono acquistati da una società mista franco-milanese e poco dopo da un fornitore dell’esercito francese, Giovanni Giuseppe Maunier, che faceva già parte della società. Questi chiamò ben presto uno degli architetti neoclassici che andava per la maggiore, il viennese Leopoldo Pollack, allievo del Piermarini, e fece trasformare in lussuosa dimora, nello stile dell’epoca, il monastero.

La Chiesa di San Vittore, non svolgendo più la sua funzione di chiesa conventuale, subì danni irreversibili nella parte posteriore, col tempo trasformata perfino in granaio, mentre intatta rimase la parte anteriore. In virtù della soppressione del Monastero la Chiesa di Santa Maria poté finalmente svolgere liberamente il suo ruolo di Chiesa Parrocchiale e quando nel corso dell’Ottocento se ne presentò la necessità e la possi bilità la chiesa fu ampliata e fu dotata di un vero campanile.

Dopo il non breve periodo di guerre napoleoniche in cui Meda cambiò più volte appartenenza alle (assai mutevoli) nuove circoscrizioni amministrative, la popolazione si adattò con fatica al ritorno degli Austriaci e partecipò alle vicende politiche del Risorgimento come gli altri paesi intorno, fino alla nascita del nuovo Regno d’Italia. La fine del regime feudale e delle istituzioni corporative aveva intanto offerto nuove possibilità di iniziativa a chi voleva correre il rischio di intraprendere e già nella prima metà del secolo la popolazione era cresciuta (dai 1.555 abitanti del 1805 ai 2.888 del 1859) e si era formato un dinamico artigianato del mobile.

Con il miglioramento delle vie di comunicazione e poi con la ferrovia nacquero le prime vere aziende, presto ingrandite alla dimensione di industrie vere e proprie. Non mancarono però fenomeni di emigrazione verso il Sudamerica o la Francia. All’inizio del N ovecento oltre alle industrie – la Baserga, la SALDA, la Lanzani – inserite in un mercato internazionale, erano ormai attive anche numerose botteghe che costituivano un rilevante tessuto economico, un gruppo consistente di contadini che si erano fatti artigiani per avviarsi con il passare degli anni a diventare imprenditori. A fronte della crescita economica e sociale fu come altrove necessario dotare il paese di nuove istituzioni e strutture.

A parte le istituzioni municipali, adattate ai tempi nuovi, nacquero nel 1868 la Società di Mutuo Soccorso e più tardi da questa una Scuola di Disegno, e poi scuole pubbliche, asilo, bande musicali, un nuovo cimitero, un nuovo municipio, ecc. Nel primo dopoguerra si manifestò la necessità di una scuola all’altezza delle nuove esigenze nel campo della produzione del mobile e nel 1932 venne inaugurato il bel Palazzo delle Scuole Professionali.

Nel secondo dopoguerra scomparve in fretta ciò che restava del mondo contadino e l’industria del mobile più avanzata ebbe l’occasione di incontrare un mondo nuovo di designers con i quali sperimentare nuove soluzioni in quell’ambito di eccellenza che oramai caratterizzava la città. La comunità medese, cresciuta a dismisura in pochi decenni – meda municipio3.876 gli abitanti nel 1881, 6.986 nel 1911, 9.237 nel 1936, 14.883 nel 1961, 18.245 nel 1971 – ha visto nell’ultimo cinquantennio il vecchio borgo trasformarsi e confondersi con le botteghe e le industrie.

Essa ha vissuto le evoluzioni connesse a un vivere più civile e più moderno, perdendo in qualche caso pezzi importanti del suo vecchio patrimonio architettonico e assistendo alla progressiva scomparsa delle cose e delle abitudini del vecchio vivere quotidiano. La crescita della popolazione ha reso necessaria la costruzione di una grande e nuova chiesa parrocchiale, dedicata a Santa Maria Nascente; sono anzi nate due nuove parrocchie, quella della Madonna di Fatima, costituita nel 1964, e quella di San Giacomo, costituita nel 1973 . Nel 1976 il fatto più eclatante degli ultimi tempi, quando dall’ICMESA, industria medese, fuoriusciva la famigerata diossina.

Al nome di Meda sono legati molti personaggi e avvenimenti. Difficile ricordarli tutti, anche se noti, ma per fare solo degli esempi si può citare l’architetto razionalista Giuseppe Terragni, nato e vissuto durante la sua infanzia a Meda, o l’episodio legato alla morte di San Pietro Martire, il frate domenicano ucciso il 6 aprile 1252 non lontano dal Monastero delle Monache, presso cui aveva da poco finito di desinare sostando lungo la strada che lo doveva portare da Como a Milano. O si può citare il Manzoni dei Promessi Sposi, che a proposito della scomparsa della conversa che sapeva della tresca della Monaca di Monza scrive “Si fecero gran ricerche in Monza e ne’ contorni, e principalmente a Meda, di dov’era quella conversa”.

Piazza Vittorio Veneto

meda san vittoreAll’attento visitatore come all’automobilista frettoloso che salgono dalla via S. Martino si presenta uno splendido scenario architettonico, un ambiente d’altri tempi e pur vivo e pulsante: si apre la magnifica visuale di Piazza Vittorio Veneto, il “cuore di Meda”. In salita, in uno slargo informe più che irregolare, e forse per questo ancor più suggestiva, pavimentata con la classica “rizada”, la piazza è uno degli scenari più belli di tutta la Brianza e di quella milanese in particolare.

Arrivando, a destra domina il prospetto di Palazzo Carpegna e a sinistra quello del Santuario del Santo Crocifisso, ingentilito da un elegante campanile, e mentre alle spalle ci si avvede del Monumento Ossario ai Caduti Medesi, il fondale di questo scenario è dato dal complesso della Villa Antona Traversi, che offre alla vista soprattutto la bella facciata della Chiesa di San Vittore, che del complesso è parte integrante.

La villa neoclassica è il risultato del riad attamento a laiche funzioni che il Pollack fece all’inizio dell’Ottocento del soppresso Monastero delle Monache di Meda, importante cenobio dalla storia millenaria, attorno al quale nacque e si sviluppò il borgo.

L’edificio, tuttora abitato dalla nobile famiglia proprietaria del complesso, conserva affreschi del Fiammenghino, ambienti d’epoca e di gusto neoclassico, una preziosissima documentazione sulla vita e le vicende del monastero a partire dal IX° secolo e interessanti raccolte private. La Chiesa di San Vittore, che domina la piazza, è quella del soppresso Monastero, sorta vicino al sito di un’altra, che si faceva risalire all’incirca al X° secolo.

Vuole infatti la tradizione alto medievale che due fratelli della nobile famiglia milanese dei Corio, Aimo e Vermondo, assaliti da cinghiali mentre erano a caccia nelle selve che ricoprivano un tempo le prime colline brianzole, si erano dovuti rifugiare sugli alberi e avevano fatto voto di edificare in quel posto un monast ero in caso di salvezza. Fatto il voto i cinghiali si allontanarono subito, e allora i giovani tornarono nei boschi di Meda ed edificarono sul colle del miracolo il Monastero, “cui diedero la regola di S. Benedetto e il nome di S. Vittore”.

Il Monastero, potente nel Medioevo per i diritti feudali di cui era titolare e i molti possedimenti, visse più o meno fiorente fino a quando nel 1798 non fu soppresso insieme ad altri dalla Repubblica Cisalpina a causa della politica finanziaria di guerra di Napoleone. La Chiesa di S. Vittore, tuttora luogo consacrato, all’interno è un vero scrigno d’arte, una delle migliori espressioni del tardo Rinascimento lombardo, impreziosita oltremodo dalla bella facciata barocca aggiunta nel 1730. La struttura e molte delle decorazioni ricordano la Chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore di Milano. La chiesa, interamente affrescata, è divisa in due parti, quella “interna”, claustrale, e quella “esterna”, destinata a i fedeli.

La presenza dominante è quella della scuola di Bernardino Luini, scuola che deve aver operato sotto la diretta guida del maestro, che in talune figure deve averci messo direttamente anche la propria mano. Le pareti laterali sono ripartite in “cappelle” – alcune poi rinnovate rispetto al disegno originario – affrescate e arricchite da altari, lesene, cornicioni, fregi, vele e velette, il tutto riccamente decorato con molteplici motivi e soggetti. Anche la volta è riccamente affrescata con motivi rinascimentali, arabeschi e simboli della Passione di Gesù.

Alla parete sinistra la prima cappella ospita il cosiddetto “Mortorio”, prezioso gruppo ligneo con statue a grandezza naturale, raffigurante la Deposizione di Cristo. Non meno pregevole delle pareti laterali è quella dell’altare maggiore, sia per il significato artistico che religioso. L’urna sotto la mensa conserva infatti i resti dei Santi Aimo e Vermondo, mentre sopra il tabernacolo domina la grande pala d’altare di Giovan Battista Crespi, il Cerano, e ai lati della pala gli affreschi attribuiti a Giulio Campi.

La chiesa claustrale interna è stata purtroppo trasformata nel periodo napoleonico in granaio e divisa in due parti da un tramezzo, ospitando successivamente una “limonera” e p erfino un’infermeria militare. Gli affreschi alle pareti delle cappelle sono stati ricoperti fino a qualche anno fa dalla calce e sono meno preziosi di quelli della chiesa esterna. Notevoli sono invece quelli che si trovano nella c. d. “Sala del Coro” al piano superiore, affatto inferiori a quelli della chiesa esterna.

A fianco del complesso di villa Antona Traversi, sorge la Chiesa di Santa Maria, la “vecchia” Parrocchiale, che nella tradizione e nel cuore dei medesi di molte generazioni è più semplicemente “il Santuario del Santo Crocifisso”. meda san vittoreLa Chiesa ha memoria antica, che affonda le sue radici in pieno Medioevo, ed ha esercitato fino al 1956 la funzione di chiesa parrocchiale. Per molti secoli è vissuta all’ombra del millenario e potente Monastero e solo con l’avvento del XIX° secolo ha potuto svolgere pienamente la sua funzione.

Fino alla soppressione del vicino Monastero di San Vittore (1798) la Chiesa ha avuto con esso una pressoché ini nterrotta storia di conflitti, sempre risolti a favore delle monache. Recenti sono in effetti l’attuale struttura, l’alto campanile e l’odierna facciata, e solamente nel 1924 la Chiesa fu impreziosita all’interno con belle pitture e decorazioni. Per molti secoli essa ebbe l’aspetto più che modesto di tanti edifici religiosi rurali.

Nel Seicento il Cardinale Federigo Borromeo dovette emanare un’ordinanza per dotare il borgo di Meda di una vera Parrocchiale, ma l’edificazione della nuova chiesa procedette tra molte inadempienze e contrasti. Seppure a fatica, la chiesa assunse tuttavia aspetto e dimensioni più consoni alla sua funzione, fino a quando si poté procedere, nel corso dell’Ottocento, ad un nuovo e definitivo ampliamento, fino al completamento dell’attuale struttura nel 1881, cui seguì, nel 1893, quello della facciata. L’interno si presenta diviso in tre navate, impreziosito pressoché su tutta la superficie di affreschi e decorazioni e ornato di statue.

Gli affreschi di maggior pregio sono di Luigi Morgari (scene sacre della navata centrale e del presbiterio), che operò in collaborazione con Primo Busnelli, decoratore medese, e con altre maestranze locali. Al Crocifisso che vi è conservato è legato il venerato ricordo dei medesi per il prodigio del 2 agosto 1813, quando un fulmine attraversò in lungo la vecchia chiesa, lasciando incolumi i partecipanti alla messa festiva che al Crocifisso si erano prontamente affidati.

Un cenno al campanile. Oggi svetta imponente, ma per secoli fu un “pilastrello” o poco più, sormontato da una campanella, giacché quello del campanile fu un punto su cui le diatribe con le Badesse del Monastero furono più frequenti. Lo spazio di un vicolo separa la chiesa dalla Ca’ Rustica, edificio di origine cinquecentesca un tempo munito di torri, una delle quali doveva forse avere la funzione di torre civica. Dalla piazza sono ancora visibili chiare tracce di decorazioni di tipo araldico sulle facciate.

Di fronte alla Chiesa di Santa Maria, nella parte bassa dello slargo, si innalza il severo prospetto del seicentesco palazzo, attualmente non visitabile, edificato dai nobili De’ Capitani di Scalve, patrizi milanesi, e poi passato più volte di mano. Attualmente di proprietà dei conti di Carpegna, presenta maggiore interesse sul lato dell’edificio che da sul giardino. All’interno notevoli sono alcune sale e la “galleria”, con medaglioni affrescati dei membri più illustri della casata De Capitani.

Chiude la veduta della piazza il Monumento ai caduti, che occupa una parte di un antico cimitero del borgo di Meda. Progettato dagli architetti Scala e Dominioni in collaborazione con Carlo Agrati, è dominato dalla statua bronzea della Vittoria alata, opera dello scultore medese Cesare Busnelli, e ospita nella cripta ossario i resti di alcuni caduti nelle guerre del Novecento.

La Chiesa di San Vittore

chiesa san vittoreLa Chiesa di S. Vittore domina uno dei più bei luoghi della Brianza, quello splendido scenario architettonico che è Piazza Vittorio Veneto, il “cuore di Meda”. All’attento visitatore come all’automobilista frettoloso che sale dalla via S. Martino s’apre una magnifica visuale, d’altri tempi e pur viva e pulsante: uno slargo informe più che irregolare, e forse per questo ancor più suggestivo, pavimentato da lungo tempo con la classica “rizada”.

A destra domina il prospetto di Palazzo Carpegna e a sinistra, ingentilito da un elegante campanile, quello del Santuario del Santo Crocifisso, e mentre alle spalle ci si avvede del Monumento Ossario ai Caduti Medesi, il fondale di questo scenario è dato dal complesso della Villa Antona Traversi, che offre alla vista soprattutto la bella facciata della Chiesa, che del complesso è parte integrante.

La villa neoclassica è il risultato del riadattamento a laiche funzioni che il Pollack fece del soppresso Monastero d elle Monache di Meda, importante cenobio dalla storia millenaria, attorno al quale nacque e si sviluppò il borgo. Il prospetto principale della Villa domina dall’alto la città ed è ben visibile solo dai palazzi più alti.

L’edificio, tuttora abitato dalla nobile famiglia proprietaria del complesso, conserva molti ambienti d’epoca, un’assai preziosa documentazione sulla vita e le vicende del monastero a partire dal IX secolo e interessanti raccolte private, frutto in particolare dell’attività di umanista e Commissario per i Cimiteri di Guerra del Senatore del Regno Giannino Antona Traversi. La Chiesa è quella del secolare Monastero di Meda, sorta vicino al luogo dove c’era l’altra, che si faceva risalire all’epoca della leggendaria costruzione del monastero.

Vuole infatti la tradizione alto medievale che due fratelli della nobile famiglia milanese dei Corio, Aimo e Vermondo, assaliti da cinghiali mentre erano a caccia nelle selve che ricoprivano un tempo le prime colline brian zole, si erano dovuti rifugiare sugli alberi e, disperando di salvarsi, avevano fatto voto di edificare in quel posto un monastero e di passare in orazione il resto dei loro giorni in caso di salvezza. Fatto il voto i cinghiali si allontanarono subito, e allora i giovani tornarono nei boschi di Meda ed edificarono sul colle del miracolo il Monastero, “cui diedero la regola di S. Benedetto e il nome di S. Vittore”.

Il Monastero, assai potente nel Medioevo per i molti diritti feudali, visse più o meno fiorente fino a quando nel 1798 non fu soppresso, insieme ad altri, a causa della politica finanziaria di guerra di Napoleone. La Chiesa di S. Vittore, eretta sotto la Badessa Maria Cleofe Carcano, fu finita di costruire nel 1520 e consacrata nel 1536 ed è tuttora luogo religioso. All’interno è un vero scrigno d’arte, una delle migliori espressioni del tardo Rinascimento lombardo, impreziosita oltremodo dal barocchetto della facciata, aggiunta nella forma attuale solamente nel 1730.

Nel pur ricco archivio del Monastero non esistono informazioni che possano far risalire con certezza agli artefici della chiesa e quindi sono stati fatti molti nomi, ma la struttura è vicina comunque all’architettura della Chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore di Milano e quindi si è pensato al Dolcebuono e agli altri che vi operarono. Più di recente è stata avanzata da parte del proprietario l’ipotesi, più attendibile, di Cesare Cesariano. La Chiesa è divisa nettamente in due parti, quella “interna”, claustrale, riservata alle monache, e quella “esterna”, destinata ai fedeli, ed è interamente affrescata.

La barocca facciata, tripartita in senso verticale mediante lesene e orizzontalmente per mezzo di un cornicione, è sormontata da un timpano ornato di angeli e fiamme. La abbelliscono statue di santi che richiamano la storia della Chiesa e la regola del monastero, tutte in pietra di Brembate: le due superiori raffigurano i Santi Aimo e Vermondo, quelle inferiori San Benedetto e San Mauro, fondatore e abate dell’ordine benedettino, la cui regola osservavano le monache di Meda; in basso, sul portale d’ingresso, con i segni del tempo, la plastica statua equestre di San Vittore, titolare della Chiesa.

Al visitatore che accede all’interno appare l’incanto degli affreschi che la ricoprono per intero. I restauri che nell’ultimo quindicennio, grazie all’apporto pubblico e privato, hanno riguardato una parte importante delle “cappelle” e della facciata interna, hanno restituito molto dello splendore originario. Come per l’edificio, anche per le pitture l’archivio del Monastero non offre, con qualche eccezione, informazioni sufficienti per le necessarie attribuzioni.

Si avverte subito tuttavia la presenza dominante della scuola di Bernardino Luini, scuola che deve aver operato sotto la diretta guida del maestro, che in talune figure deve averci messo direttamente la propria mano. L’interno è ripartito in “cappelle” nelle pareti laterali – alcune poi rinnovate rispetto al disegno originario – e arricchito da altari, lesene, cornicioni, fregi, vele e velette, il tutto decorato con molteplici motivi e soggetti.

Anche la volta è riccamente affrescata: su fondali dai vivaci colori sono stati dipinti motivi rinascimentali, arabeschi e simboli della Passione di Gesù. Il pavimento, in pietra di Saltrio, custodisce diversi sepolcri. La facciata interna presenta nella parte superiore un affresco più recente, forse contemporaneo alla facciata esterna ed in qualche modo estraneo al ciclo pittorico, mentre pienamente integrato è il resto: in alto i santi Nabore e Felice e in basso le sante Tecla e Agnese.

Alla parete sinistra la prima cappella ospita il cosiddetto “Mortorio”, prezioso gruppo ligneo con statue a grandezza naturale, raffiguranti la Deposizione di Cristo. Le statue, non tutte della stessa bottega e dello stesso periodo, formano una scena di “compianto”, caratteristica in ambito lombardo in quel periodo. Completano la cappella gli affreschi della Maddalena e della Veronica ai lati e un’animata Resurrezione nella lunetta.

Alla prima segue la cappella della Madonna del Rosario, i cui affreschi mostrano indubbiamente l’impronta luin esca. In primo piano, a sinistra, S. Caterina d’Alessandria presenta alla Madonna la Badessa Carcano, mentre a destra, in preghiera, è raffigurata una santa di difficile individuazione, che una certa tradizione vorrebbe identificare con Santa Giustina. Al centro dell’affresco una statua della Madonna del Rosario è al posto della raffigurazione strappata.

Le figure sono sormontate da un rosaio dal quale sbocciano sette tondi raffiguranti i sette misteri del Rosario relativi alle c. d. “allegrezze” della Madonna, mentre in alto domina la figura del Creatore. Pregevoli infine gli angeli musicanti che Lo affiancano (altri sono presenti con varie fattezze in diverse parti della chiesa interna ed esterna).

Al terzo altare è illustrata la leggenda di Aimo e Vermondo, raffigurati sugli alberi mentre pregano per la loro salvezza, circondati dai cinghiali. Una curiosità: fino al recente restauro i cinghiali erano solo due e la scoperta degli altri sotto la pittura più superfi ciale ha destato molta sorpresa. La cappella è completata con la raffigurazione nel catino di una Madonna con Bambino, S. Vittore e S. Benedetto.

Dall’ultima cappella di sinistra, già nel presbiterio, si accede alla sagrestia e alla chiesa interna, e la superficie affrescata lascia spazio alla porta e a diverse luci. Notevoli comunque le raffigurazioni dei due testimoni del monachesimo, Sant’Antonio Abate e san Bernardo. Lungo la parete destra si sviluppano altre quattro pregevoli cappelle. La prima, i cui affreschi appaiono posteriori rispetto al resto, è dedicata ai santi Pietro e Paolo, qui raffigurati con i loro tradizionali simboli.

Nell’impianto decorativo della cappella si osservano episodi della vita dei santi e raffigurazioni delle Virtù teologali e cardinali. Segue l’altare c. d. “di San Carlo”, in ragione del simulacro del Santo, ospitato intorno alla metà del ’600 in una nicchia al centro della cappella, ricavata posteriormente al disegno originario . I restauri che l’hanno interessata fino al 2005 hanno restituito l’originaria bellezza ai santi Giorgio e Rocco che qui sono raffigurati da abile mano, ma l’intera cappella è riccamente decorata con angeli, putti, grottesche, stemmi araldici di nobili casate e notevole è l’utilizzo dell’oro in molte parti.

Prezioso anche il restauro della terza cappella, che versava fino a qualche anno fa in pessime condizioni. Nell’Adorazione dei Magi numerose appaiono le somiglianze con l’omonimo affresco luinesco dipinto nello stesso periodo a Saronno . L’ultima cappella, nel presbiterio, mostra nell’affresco del Battesimo di Gesù, soprattutto nei volti degli angeli, quanto presente fosse l’influsso leonardesco sui pittori lombardi.

Non meno pregevole delle pareti laterali è quella di fondo con l’altare maggiore, sia per il significato artistico che religioso. Sotto la mensa dell’altare infatti è collocata l’artistica urna che conserva i resti dei Santi Aimo e Vermondo, mentre sopra il tabernacolo domina la grande pala d’altare di Giovan Battista Crespi, il Cerano: “Cristo risorge in Gloria” c on i Santi Paolo, Ambrogio, Carlo, Vittore e Scolastica. Ai lati della pala, a sinistra, “La Vergine con le pie donne”, e a destra “Gesù deposto con Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea”, affreschi attribuiti a Giulio Campi.

Molta attenzione il visitatore deve porre ai cornicioni che lungo tutto il perimetro della navata separa le cappelle dalla volta, tutto adornato di tondi con immagini di Santi e Martiri, Profeti e Sibille. In particolare nel cornicione trionfale sopra l’altare maggiore, che ospita l’effigie di San Vittore e quelle dei Santi titolari delle chiese dipendenti dal Monastero di Meda, vanno apprezzati i santi Aimo e Vermondo delle losanghe.

L’alta luce ad emiciclo che sovrasta l’altare maggiore per l’intera parete di fondo, adornata di un bel Crocifisso ligneo, è il diretto collegamento con la chiesa interna che permetteva un tempo di apprezzare il canto delle monache. La chiesa claustrale ha subito purtroppo i contraccolpi delle vicende del compless o dopo l’epilogo della vicenda monastica.

Trasformata nel periodo napoleonico in granaio e divisa in due parti da un tramezzo, ha ospitato perfino un’infermeria militare nel corso della Grande Guerra. La “limonera”, oggi la parte inferiore, sta a indicare con il suo nome quale è stata la sua destinazione per lungo tempo. Gli affreschi inferiori alle pareti delle cappelle sono stati ricoperti fino a qualche anno fa dalla calce e forse grazie a ciò preservati, ma la loro pulitura ha comunque evidenziato danni irrimediabili.

Fra queste pitture, che appaiono di meno pregevole fattura di quelli della chiesa esterna, va segnalata almeno una “Visitazione di Maria ad Elisabetta”. Notevoli sono invece gli affreschi che si trovano nella c. d. “Sala del Coro” al piano superiore, logica continuazione della chiesa esterna. Qui si possono ammirare da vicino la volta e il cornicione, che è ora ad altezza d’uomo e sempre arricchito di tondi e losanghe raffiguran ti Patriarchi, gli Apostoli, gli Evangelisti e soprattutto Sante e Martiri.

Grandi affreschi raffigurano il Risorto e l’Assunta. Nonostante le delicate condizioni di queste pitture, che meriterebbero un attento intervento di pulitura e restauro, si può senz’altro dire che esse non sono affatto inferiori alle altre, e ne è prova il risultato dell’ultimo restauro, voluto ed eseguito direttamente sulle pareti della chiesa interna dalla proprietà Traversi, che ha restituito ai nostri occhi un’altra bellissima raffigurazione dei Santi Aimo e Vermondo, affiancati da altri angeli musicanti.

La Chiesa vecchia di Santa Maria

chiesa santa mariaIn quel magnifico scenario architettonico che è Piazza Vittorio Veneto, il “cuore di Meda”, a fianco del mirabile complesso rappresentato dalla villa Antona Traversi e dalla Chiesa di San Vittore, sorge la Chiesa di Santa Maria, la “vecchia” Parrocchiale, che nella tradizione e nel cuore dei medesi di molte generazioni è più semplicemente “il Santuario”. Seppure le sue forme attuali risalgano ad anni relativamente recenti, la Chiesa ha memoria antica, che affonda le sue radici in pieno Medioevo.

Sempre con il titolo di Santa Maria, essa ha esercitato per i medesi la funzione di chiesa parrocchiale. Anche la sua esistenza si è svolta per lunghi secoli, per così dire, all’ombra del millenario e potente Monastero delle monache di Meda e solo con l’avvento del XIX° secolo la Chiesa ha potuto svolgere pienamente e autonomamente la sua funzione. Sostanzialmente contemporanei sono l’attuale struttura, l’alto campanile e l’odierna facciata: solamente nel 1924 la Chiesa assunse l’aspetto che oggi offre ai fedeli e ai visitatori, quando l’interno fu impreziosito dalle pitture di Luigi Morgari e dalle decorazioni di Primo Busnelli.

Fino alla soppressione del vicino Monastero di San Vittore da parte della Repubblica Cisalpina, avvenuta il 27 maggio 1798, la Chiesa visse con esso una pressoché ininterrotta storia di conflitti, sempre risolti a favore delle monache con decisioni dell’Arcivescovo di Milano, del Papa o di loro delegati, a cominciare da quella del 1138 dell’Arcivescovo Robaldo, dalla quale essa risulta “spettare intieramente alla cagione e al dominio del Monastero di S. Vittore”.

Prima di quella data altri documenti dell’XI° secolo testimoniano che la Chiesa di Santa Maria era destinataria di donazioni e quindi tutto farebbe supporre che le sue origini siano anteriori all’anno Mille, senza che tuttavia, come del resto accade per molte chiese, se ne possa con certezza stabilire l’anno o il periodo di fondaz ione né, soprattutto, ciò permetta di comprendere le ragioni della dipendenza dalla Badessa del Monastero, con il conseguente diritto di nomina del parroco e quant’altro fu poi oggetto di contesa con gli abitanti del borgo, con il Prevosto di Seveso, ecc.

Forse non sapremo mai se ogni diritto del Convento sulla Chiesa fosse originario o acquisito, e a quale titolo, ma certamente fino all’epoca di San Carlo, essa aveva l’aspetto più che modesto di tanti edifici religiosi rurali, e in tali condizioni era lasciata proprio a causa dell’impossibilità per i borghigiani di mettere mano alla loro chiesa per ingrandirla e abbellirla, e ciò anche dopo il 1252, quando il Monastero, bisognoso di denaro, scambiò questo con la cessione di una serie di diritti a favore degli abitanti di Meda.

Sul finire del XVI° secolo, a seguito delle visite pastorali che caratterizzarono l’opera di San Carlo, per rendere la Chiesa di Santa Maria più decorosa e conforme alle nuove norme conciliari e men o precaria la vita dei parroci, giunsero finalmente disposizioni dalla curia milanese, che però rimasero sostanzialmente inattuate, tanto che anni dopo il Cardinale Federigo Borromeo dovette emanare una vera e propria ordinanza per dotare il borgo di Meda di una dignitosa chiesa parrocchiale.

L’ordine fu quanto mai perentorio e i compiti spettanti agli abitanti e al Monastero ben definiti, ma l’edificazione della nuova chiesa procedette comunque tra molte inadempienze e contrasti e le questioni relative alla nuova costruzione si trascinarono per anni. Seppure a fatica, la Chiesa assunse tuttavia aspetto e dimensioni più consoni alla sua funzione, fino a quando si poté procedere, nel corso dell’’800, ad un nuovo e definitivo ampliamento, fino al completamento dell’attuale struttura nel 1881, cui seguì, nel 1893, quello della facciata.

L’attuale facciata è ornata di un semplice protiro e di quattro statue ospitate entro nicchie, raffiguranti santi per i quali i medesi nutrono particolare venerazione: Sant’Antonio Abate, i Santi Aimo e Vermondo, fondatori e protettori del cenobio benedettino di Meda, e San Giovanni Oldrati, che una tradizione postuma vuole riformatore dell’ordine degli Umiliati, nato a Meda intorno al 1100 e poi santificato da Alessandro III°.

L’interno si presenta diviso in tre navate, impreziosito di affreschi e decorazioni pressoché su tutta la superficie e ornato di statue. Le pitture di maggior pregio sono di Luigi Morgari, (1857-1935), esponente importante di una famiglia di pittori torinesi, che fu soprattutto affrescatore e fu attivo in area piemontese e lombarda.

Nella Chiesa di Meda il Morgari operò in collaborazione con Primo Busnelli, decoratore medese, e questa esperienza fu rinnovata anche in altre località, ma diedero il loro contributo anche maestranze locali, valenti grazie a una già affermata tradizione nel settore della decorazione del mobile.

Del pittore torinese sono le scene sacre che nella volta della navata centrale si alternano ai fregi (“La Natività di Maria”; “La Redenzione dell’umanità”, con l’Agnello e Satana cacciato da San Michele Arcangelo) e quelle del presbiterio. Ai lati dell’altare maggiore, pregevole testimonianza della chiesa settecentesca, si ammirano i due affreschi più significativi, “L’ultima cena” e la “Crocifissione”, mentre nella volta è dipinta l’Esaltazione della Croce”, condotta al Padre in un trionfo di angeli, e nelle vele i quattro Evangelisti.

La navata centrale è caratterizzata inoltre dalle figure dei Santi Pietro e Paolo sull’arcata davanti all’altare maggiore e da quelle di altri santi nei medaglioni e nelle arcate laterali (S. Teresa di Lisieux, Sant’Agnese, Sant’Agata, S. Stefano, S. Carlo, S. Mauro, S. Francesco, Sant’Agostino, S. Luigi, Sant’Ambrogio). Le raffigurazioni sacre si completano con altre pitture di minore pregio artistico ma che vale la pena di citare.

In particolare si segnalano quelle in fondo alle pareti delle due navate laterali, a fianco degli altari – a sinistra “la Madonna del Rosario di Pompei”, nella più conosciuta delle raffigurazioni, cioè con ai piedi San Domenico e Santa Caterina, e a destra “Santa Margherita Maria Alacoque”, nella tradizionale iconografia di fronte al Sacro Cuore – e quelle subito agli ingressi delle porte laterali, il “Battesimo di Gesù” a sinistra, proprio sopra l’antico fonte battesimale circondato da un’artistica cancellata, e la “Madonna delle Grazie” a destra, copia recente che ha preso il posto di quello cinquecentesco trasportato nella nuova Parrocchiale e che per devozione era già stato staccato nel ‘600 dall’altare del Rosario della Chiesa di San Vittore.

Ricca anche la statuaria dell’interno, ma l’attenzione va rivolta soprattutto all’antico Crocifisso conservato in una nicchia all’altare di fondo della navata destra. Al Crocifisso è legato il venerato ricordo dei medesi per il prodigio del 2 agosto 1813, quando un fulmine attraversò in lungo la vecchia chiesa, lasciando incolumi i partecipanti alla messa festiva che al Crocifisso si erano prontamente affidati.

E’ proprio per quel prodigio i medesi chiamano devotamente e comunemente la Chiesa “Santuario del Santo Crocifisso”. Da segnalare infine l’organo che orna la controfacciata, fatto risalire verosimilmente agli anni a cavallo del 1700, e quelle testimonianze dell’antica e nobile tradizione medese dell’intaglio che sono i confessionali, i “quadri” della Via Crucis e i bassor ilievi lignei del portale, opera di Osvaldo Minotti.

Un cenno infine al campanile. Per secoli fu un “pilastrello” o poco più, sormontato da una campanella, giacché quello del campanile fu un punto su cui le diatribe con le Badesse del Monastero furono frequenti, anche se nel 1252 la proprietà era passata (con molte limitazioni) ai borghigiani. Fino a quando, nel 1623, non si cominciò a costruire un vero e proprio campanile, che però dovette attendere il XIX° secolo per cominciare ad essere pensato e portato, in più fasi, ad un’altezza “importante”, quasi una gara con quello dei paesi vicini. Fino a dominare dall’alto, dal 1920, la sua città.

Villa Traversi: da monastero a villa, dodici secoli di storia

Per più di mille anni, la collina su cui oggi sorge Villa Antona Traversi, a Meda, ospitò il Monastero di San Vittore, il più importante cenobio femminile del contado milanese. Fondato intorno all’anno 780, il Monastero, che osservava la regola benedettina cassinense, crebbe in fortuna e in importanza nei secoli seguenti, divenendo dominus loci del borgo di Meda e cercando di limitare, con ogni mezzo legale, i poteri del nascituro Comune di Meda.

Dopo dieci secoli di vita e di lotte, il Monastero venne soppresso da un decreto della Repubblica Cisalpina il 29 maggio 1798. Negli anni successivi fu trasformato in Villa neoclassica da Leopoldo Pollack, celebre architetto viennese, su incarico di Giovanni Maunier, che acquistò l’edificio all’asta.

Grandi demolizioni e profonde trasformazioni cambiarono il volto dell’edificio, che però conserva tuttora l’impronta inconfondibile del luogo monastico: dalla Chiesa di San Vittore, rimasta intatta, al Chiostro, trasformato in cortile interno da Pollack ma ancora intriso di spirito benedettino. Fino alla Sala del Coro, l’ex chiesa interna ridotta nell’Ottocento a granaio e oggi riportata alla primitiva bellezza.

http://www.villaantonatraversi.it/home.htm

ALTRI LUOGHI DI INTERESSE

La via Traversi Dalla Piazza Vittorio Veneto, scendendo per la via Giannino Antona Traversi fino a incontrare la Via Garibaldi, ci si può immergere un poco nella Meda d’altri tempi. Mentre sul lato sinistro della via pavimentata a “rizada” corre il muro, su quello destro sorgono infatti le povere abitazioni che un tempo erano quelle di servizio del Monastero, modificate in parte all’interno per ricavarci ancora dei locali abitabili, ma pressoché intatte all’esterno. Esse restituiscono una particolare atmosfera, soprattutto se si percorre la via in salita nelle giornate uggiose, o di notte o con la neve.

Le pitture di Casa Maunier

Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso scendendo per la via Traversi chiudeva la prospettiva sul fronte della via Garibaldi la così detta Casa Maunier, edificio di pregio che prendeva nome dalla famiglia erede di quel Giuseppe che aveva comprato tutti gli ex beni del Monastero delle Monache di Meda.

Come altri significativi edifici del centro storico medese abbattuti nell’ultimo cinquantennio per far posto a ristrutturazioni e fabbricati più moderni e funzionali, la casa Maunier oggi non c’è più e al suo posto sorge una scuola, più volte riadattata alle mutevoli e crescenti esigenze didattiche. Di quella ricca dimora rimane tuttavia una testimonianza importante nelle belle pitture che abbelliscono una parete esterna di un fabbricato pertinente alla casa oggi demolita, che si possono ammirare proprio dal cortile della scuola sul lato che dà sulla via Palestro.

Le pitture, una sorta di tromp-oeil con elementi decorativi e una bella veduta lacustre entro archi, sono stat e recentemente restituite a nuovo splendore grazie a un apprezzato intervento di restauro promosso dall’Amministrazione Comunale e realizzato dagli allievi del corso di decorazione del Centro di Formazione Professionale “Terragni “di Meda.

Piazza Cavour e Via Parini

Se si imbocca a sinistra la Via Garibaldi scendendo dalla via Traversi si giunge in breve in piazza Cavour, altro luogo del vecchio centro storico cui le trasformazioni edilizie hanno cambiato completamente volto. Al posto del parco pubblico sorgeva fino alla prima metà del ‘900 il così detto Palazzo della Madame e sul lato sinistro della piazza il bel pozzo cui hanno attinto acqua diverse generazioni di medesi, una vera e propria icona della Meda che fu. La piazza accoglie il monumento al Donatore di Sangue, del 1968, progettato dall’architetto Angelo Asnaghi e abbellito con l’opera bronzea di Cesare Busnelli che rappresenta il momento della donazione.

Subito dietro il monumento, in via Parini, sorge l’edificio neogotico di Casa Ferrario, edificato alla maniera di molte dimore tardo ottocentesche. Abbellito all’esterno da decorazioni in cotto, il complesso, dominato da una torre merlata, fu costruito dall’omonima famiglia milanese come dimora di campagna e conserva all’interno anche tracce di pitture. Alla casa è annessa la piccola chiesina del Redentore, eretta sempre dalla famiglia Ferrario sul finire dell’Ottocento, che presenta pitture e decorazioni, oltre a belle cornici intagliate.

Le dimore signorili

Scendendo dalla Piazza Vittorio Veneto lungo la Via San Martino si lasciano a sinistra, oltre il Palazzo Carpegna, alcune vecchie dimore, la cui più importante è rappresentata dal Palazzo De Petri, di origini cinquecentesche (l’ingresso è in Piazza Volta). Appartenuta già ai Clerici, fu decorosa dimora signorile della famiglia De Petri nel Settecento e dei Dell’Acqua nell’Ottocento. Al sobrio edificio, ingentilito da una bella raffigurazione della Madonna sul prospetto che dà sulla piazza, sono annessi fabbricati a uso agricolo.

Nell’accesso al portico a colonne binate che caratterizza il cortile interno si può osservare la raffigurazione di un giovane servitore che porge a chi entra le chiavi di casa. Domina la Piazza Volta la collinetta sopra la quale sorge la Villa dell’Acqua, immersa in un bel parco alberato. La bella dimora risale agli inizi del Novecento e si caratterizza per l’ampia vetrata multicolore della facciata principale. Altre dimore signorili, esempi signi ficativi di abitazioni borghesi per i primi e più importanti industriali del legno e del mobile, sorgono vicino alla stazione delle Ferrovie Nord Milano, accanto o non lontano da quelli che erano i primi stabilimenti.

Occorre citare almeno la villa Besana e le due ville Lanzani, costruite secondo i tipi dell’eclettismo nel 1904 dall’impresa edile che apparteneva al padre del più famoso Giuseppe Terragni, l’architetto razionalista, nato appunto a Meda. Le ville Lanzani, unite fra loro da un elegante portico e ricche di ornamenti, sono decorate all’interno dal pittore medese G. Martinoli.

Nelle chiese e sui muri delle case

rosoneMoltissimi sono in città i segni e le opere a carattere religioso. Se dal punto di vista artistico le testimonianze più significative si conservano, ovviamente, negli edifici di culto del centro storico monumentale, non mancano altre tracce diffuse e degne di nota che rivelano lo stretto legame della storia medese con la spiritualità cristiana.

L’imponente Chiesa parrocchiale di Santa Maria Nascente, edificata su progetto di Paolo Mezzanotte, è stata consacrata nel 1956 ed ha aspetto decisamente moderno. L’ampio e maestoso interno è stato progettato per accogliere una popolazione in continua crescita e oltre ad alcune opere contemporanee ospita l’affresco della Madonna staccato dalla Chiesa di San Vittore e già ospitato in quella di Santa Maria.

Le altre due parrocchiali sono ancora più recenti e non custodiscono opere di particolare rilievo, fatta eccezione per il Cristo dello scultore Alberto Ceppi che domina dall’alto il presbiterio nella Parrocchiale della Madonna di Fatima. Sul confine con l’abitato di Seveso, ai margini della via Milano, in luogo che fu in epoca medievale territorio dell’antica Farga, nucleo il cui nome rende probabile un’origine longobarda, sorge invece all’ombra dei platani l’antica cappella dei Santi Nazario e Celso.

Il piccolo edificio, dalla data di fondazione incerta, possedimento un tempo del Monastero delle Monache di Meda e oggi della nobile famiglia Antona Traversi, mostra sulla facciata due scheletri con falce e clessidra, a significare del tempo che passa inesorabile e della morte che sempre sopravviene, e nella lunetta del portale, sopra l’ingresso, una Pietà. Oltre a queste pitture, ben conosciute essendo a ridosso di una strada di intenso traffico, sono conservate all’interno tracce delle antiche decorazioni.

E’ però sui muri delle case di Meda e nelle corti, soprattutto del centro storico ma non solo, che si osservano le moltissime icone di una religiosità popolare votata in particolare alla raffigurazione mariana. Si possono davvero incontrare ad ogni angolo pitture di gusto semplice ma anche dipinti o rilievi più ricercati e più che dignitosi, realizzazioni di anonimi pittori o di valenti decoratori, che contribuiscono non poco a caratterizzare molti degli ambienti medesi.

Oltre la Stazione

Fino al tardo Ottocento subito dopo quella che era ed è ancora la stazione delle Ferrovie Nord cominciava la strada campestre per Seregno, che oggi è la lunga e trafficata Via Indipendenza. La vigorosa crescita economica e demografica della città portò già all’inizio del ‘900 a radicali trasformazioni urbanistiche, al sorgere di fabbriche importanti e poi di alcuni edifici che vale la pena di citare. Essi sono peraltro i primi che appaiono alla vista del visitatore che giunge a Meda in treno.

Via Indipendenza si apre su uno slargo sui quali dominano per lo più anonimi palazzi contemporanei, ma sulla destra, subito dopo la stazione, all’angolo con Piazza del Lavoratore, sorge il Palazzo Besana, interessante ed elegante edificio ornato da belle finestre, fregi, maschere e altri ornamenti, che riecheggia al liberty pur cedendo allo stile eclettico. L’edificio fu costruito intorno al 1910 da Giuseppe e Piero Besana per ospitare la sede della loro industria mobiliera, di lì a poco trasformata in SALDA, marchio famoso fino al 1933, quando l’impresa cessò l’attività. Il Palazzo, conosciuto oggi appunto anche come ex SALDA, ospita attualmente abitazioni e negozi.

La Piazza del Lavoratore accoglie il Monumento al falegname, opera bronzea del milanese Virginio Ciminaghi (1901-2001), inaugurato nel 1969 in occasione della festa di San Giuseppe. La scultura rappresenta un fascio di tavole sul quale tre altorilievi evidenziano San Giuseppe, la famiglia e il lavoro. Accanto al Palazzo Besana segue sulla via Indipendenza quello della Pro Meda, sorto come sala teatrale nel 1913 e così chiamato dal nome dell’associazione che gestiva il teatro negli anni Venti del secolo scorso. Trasformato in abitazione civile, conserva l’elegante facciata ornata di stucchi e l’elegante portone, sormontato dallo stemma della città.

Poco più avanti, sulla sinistra, sorge infine l’edificio delle Scuole Professionali, edificato nel 1932 su progetto di Aldo Vicini e dell’Ufficio Tecnico comunale, che risente dello stile dell’epoca ed è la più importante opera pubblica del Ventennio. Nato per ospitare la scuola di Arte e Mestieri, il palazzo ha ospitato nel corso degli anni diversi istituti scolastici e ospita ancora oggi la Scuola Media “G. Antona Traversi”.

Gli edifici rurali storici…

Meda, come tante altre realtà dell’alta pianura milanese, prima di divenire una delle capitali del mobile viveva di agricoltura. Fra la fine dell’Ottocento e il Primo Dopoguerra molti dei suoi abitanti da contadini diventarono artigiani del legno per poi farsi imprenditori, primi artefici di una straordinaria trasformazione di quello che non molto tempo prima era un piccolo borgo rurale ai piedi di un secolare monastero trasformato in villa.

Di quel passato non troppo lontano rimangono ancora diverse tracce, sparse in quello che è ormai un contesto urbano dalla lettura difficoltosa e complessa, alcune delle quali sono però ancora oggi esempi assai significativi di un’edilizia rurale di rilevante interesse storico, ancorché in un’area geografica dallo sviluppo agricolo ottocentesco non particolarmente importante a causa della povertà dei suoli.

Uno dei migliori esempi è dato dalla Cascina “Belgora”, alla fine di Via Como, costruita dai Brivio verso la metà del XIX° secolo e caratterizzata dagli alti portici del corpo abitativo. Più significativo sarebbe tuttavia quello della cascina “Colombera”, posta in alto su un ciglio, a dominio del pianoro detto della “Cavallina”, pur nella non semplice comprensione di un complesso ampiamente ristrutturato. Prima dell’utilizzo in senso agricolo l’edificio era stato infatti concepito e realizzato con funzioni di padiglione di caccia dei Clerici nel secolo XVIII° – tant’è che esso risulta già nel catasto austriaco del 1721 – e ha ospitato successivamente diverse aziende agricole

. … e quelli di archeologia industriale.

Permangono ovviamente anche molte tracce di un passato … un po’ più recente, seppure oramai dal sapore archeologico. Le industrie del mobile, ma non solo quelle, pur con le inevitabili trasformazioni e distruzioni che hanno accompagnato a ritmo sempre più incalzante l’adattamento a tempi nuovi e a nuove tecnologie, hanno lasciato testimonianze importanti, edifici che in qualche caso occorrerebbe assolutamente preservare dalla distruzione prima che sia troppo tardi, pur riconvertendoli a nuove funzioni.

Meda è ancora caratterizzata da un tessuto edilizio in cui convivono abitazioni, botteghe e fabbriche e non sempre è possibile apprezzare a prima vista ciò che di notevole resiste ancora in quest’ambito. Sono tuttavia sicuramente da segnalare almeno le testimonianze “archeologiche” dei capannoni ex SALDA vicini alla stazione e quelle delle fornaci Ceppi in via Santa Maria.

(*) Questi testi e queste immagini, gentilmente concessi, sono tratte dai siti Proloco Meda e Link Pietro Ficarra