gesùVANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

RIFLESSIONE

22 marzo 2015

PINOCCHIO
5a domenica di Quaresima B

Ma cosa è questa Pasqua che si sta avvicinando?
Questa passione che si apre ad una primavera di vita nuova?
Vorrei chiederlo ad un personaggio famoso che la sa lunga
e ha una storia che ci ricorda Gesù: Pinocchio. Sì proprio lui.

Tutti sanno che il burattino finisce nella pancia del pesce.
(Nel film è una balena, ma nel testo originale è un pesce-cane
che dà più l’idea del male che divora e inghiotte).
Dentro c’è un buio pesto. Pinocchio si mette a urlare:
“Aiuto! Aiuto! Oh povero me! Non c’è nessuno a salvarmi?”.
“Chi vuoi che ti salvi, disgraziato? – disse in quel buio
una vociaccia fessa di chitarra scordata”. È un tonno.
“Ed ora che cosa dobbiamo fare qui al buio?”.
“Rassegnarsi e aspettare che ci abbia digeriti tutt’e due”.
Pinocchio non è fatto per il buio: “Io non voglio essere digerito”.

Il tonno è la figura simbolica del cinismo e della rassegnazione.
Il dilemma è: c’è o non c’è alternativa al buio dell’esistenza?

Pinocchio decide di abbandonare il tonno al suo pessimismo
e brancolando, cammina a tentoni dentro al corpo del pesce-cane,
lotta tra scivolate verso un piccolo chiarore che vede lontano.

Raggiunta quella luce, trova una piccola tavola apparecchiata,
con sopra una candela accesa infilata in una bottiglia verde,
e seduto a tavola, avvolto dal buio, un vecchietto mogio e fragile.

A quella vista Pinocchio, attonito, si getta al collo del vecchietto:
“Babbino mio! Vi ho ritrovato! Ora non vi lascio più, mai più.
Mi avete di già perdonato, non è vero? Come siete buono!”.

Quel tavolo è annuncio di una vita nuova dentro il male (pesce).
Lì Pinocchio ritrova un abbraccio, proprio quello di suo padre.

Quante volte la vita è il tempo dell’esperienza del buio.
Cristo che nel ventre della morte vince l’abisso del nero,
ci spinge a “venire alla luce” (rinascere) nell’abbraccio del Padre,
per farci abbandonare il Tonno pessimista che c’è in noi.

Il percorso di Pinocchio è anche quello della storia dell’uomo:
da “homo erectus”, a “sapiens”, fino all’uomo “economicus”.
(ammaliato dal paese dei balocchi e dal Gatto e la Volpe).
L’ultimo passo, quello della maturità della vita è l’uomo “felix”.

“Com’ero buffo, quand’ero burattino!”, dice alla fine Pinocchio.

La fatica della vita e il buio degli sbagli lo rendono umano.
Però, se da una ferita esce sangue è perché c’è un cuore che batte.
Un burattino si rompe, ma non sanguina, perché non ha cuore.
Quante opportunità ci sono sfuggite o si sono perse
per quella nostra maledetta abitudine di vivere una vita tiepida,
caratterizzata da freddezza nei sorrisi, fragilità negli abbracci,
indifferenza negli sguardi, anoressia di dialogo.

Un burattino è un “quasi” uomo. Il “quasi” sembra più comodo, più facile,
ma è logorante, sfibrante e più deleterio di un “no”.
Il “quasi” è l’incertezza del forse che rattrista e che uccide:
chi quasi vince è in realtà un perdente,
chi quasi è stato promosso è in realtà un bocciato,
chi quasi è vivo è in realtà morto,
chi quasi ama, non ha mai amato.

Pinocchio ci offre la scommessa di vita nuova della Pasqua,
anche se ci sentiamo schiacciati dall’abisso del buio,
anche se ci sentiamo inghiottiti dal male,
anche se ci sentiamo sballottati dalla fragilità.
“Pasqua” in ebraico significa appunto “passaggio”:
passaggio da morte a vita come il chicco che muore e germoglia.
È il passaggio, la pasqua, dall’essere burattini al diventare umani.

Interessante la scelta delle parole usate da Collodi:
“Pinocchio guardandosi allo specchio non vide più la solita
immagine della marionetta di legno, ma vide l’immagine vispa
e intelligente di un bel fanciullo con i capelli castani,
con gli occhi celesti e con un’aria allegra e festosa
come una pasqua di rose”.