giovanni

VANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

RIFLESSIONE

14 dicembre 2014

VOCE DEL VERBO ATTENDERE
3a domenica del tempo di Avvento B

“Tu chi sei?”: al cuore del Vangelo di oggi c’è questa domanda.
La risposta del Battista è strana e fa pensare: “Io sono voce”.

La vita è coniugare verbi.
Ce lo dicevano fin dalle elementari: “voce del verbo…”.

Oggi siamo invitati a coniugare il verbo “attendere”:
è il verbo dell’Avvento, ma è anche il verbo della vita.

Una donna gravida (come Maria) “aspetta un bimbo”, appunto.

La vita è fondamentalmente voce del verbo attendere:
attesa di una persona che ti colma testa e cuore, attesa di un evento, attesa di una stabilità sul posto di lavoro, attesa di uscire dal tunnel dalla crisi, attesa di un ritorno, attesa di sintonia, di dialogo, di abbracci, di sorrisi, di baci.

Attendere però non è mai stato nei verbi preferiti da coniugare, perché non esiste attesa senza fremito, senza sofferenza, senza fatica, senza tensione, senza agitazione, anche se e quando c’è in gioco una cosa bella.

C’è il rischio poi che l’attendere scivoli inquinandosi in capriccio, e il cervello si mette a frullare tra calcoli, pretese, rivendicazioni.
L’attendere puro è quello del bambino che attende una sorpresa e il cuore si mette a battere forte e tutto vibra di emozione.

Allora mi sento oggi di augurarvi un Natale dove vi possiate attendere molto, ma innanzitutto da voi stessi.

L’equilibrio di una coppia sta nel come intendo il verbo attendere.
Se io mi attendo sempre “qualcosa”, le pretese invadono tutto e la tensione si fa delusione, amarezza, frustrazione.

Attendere non qualcosa ma “qualcuno” è lasciare aperto il cuore, è non avere sulla porta nessun “attenti al cane” che tiene distanze, è il non vivere sempre con inserito l’antifurto dei sospetti.

Natale è Dio che si tuffa nella vita.
Tu chi sei? Anzi, tu ci sei o ci fai?

Quando c’è un incidente aereo si va a cercare la scatola nera per vedere i movimenti, la rotta, i dialoghi, le decisioni.
Il cuore è la scatola nera della nostra vita, dove si registrano le cose importanti, le scelte, gli attimi decisivi.

Attendere è andare a cercare la scatola nera, andare al nucleo.
Meglio una casa disordinata ma calda, che fredda e tutta precisa.

Se il tuo cuore è un cuore notturno, buio, appesantito, intristito, ammalato, tradito, questo cuore-notte può essere invece “divino”:
Dio cerca casa e tu puoi aprigli la porta, diventando “attesa”.

Credo che ognuno di noi, quando si guarda allo specchio, vede non solo i suoi tratti di luce ma anche le sue zone d’ombra.
Sono queste ombre e cicatrici che ci provocano e ci scuotono:
“Qui non sei ancora ri-uscito, non sei ancora uscito da te, hai ancora qualcosa da far nascere, che chiede di venire alla luce, hai ancora qualcosa che devi attendere da te stesso”.

Un bambino domandò alla sua mamma: “Da dove sono venuto?”
La mamma sorridendo e stringendo al cuore il suo bambino gli sussurrò: “Eri un desiderio dentro al cuore, ti ho atteso”.
Così il poeta Tagore dipinge il ritratto di una nascita.

Ogni germoglio di vita è un segreto nella scatola nera del cuore, è un segreto divino dentro la propria casa, è “voce” del verbo attendere. Ma sappiamo attendere?