Dicembre 2000

Quest’ anno avevamo voglia di qualcosa di davvero speciale, di un viaggio che fosse avventuroso e movimentato, alla ricerca di panorami mozzafiato e di salti nella storia. La scelta e’ cosi’ caduta su un tipo di viaggio molto particolare, nuovo per noi, abituati a viaggiare “in solitaria”. La meta e’ la Libia, ed e’ stato il suo deserto, in particolare, ad attirarci, con le sue dune, le sue piste, i suoi pinnacoli rocciosi, le sue infinite distese, i suoi silenzi… in una parola: la sua poesia. Ci siamo quindi domandati quale fosse il modo migliore per vivere un deserto, e la risposta e’ stata immediata: camminando! E’ nata in questo modo l’ idea di attraversare a piedi un deserto.
Ma per recarsi a piedi in una zona desertica e’ decisamente sconsigliabile organizzare un viaggio fai da te; abbiamo dunque iniziato ad informarci su quali agenzie proponessero trekking di questo tipo, trovandone purtroppo poche. Alla fine la scelta e’ andata alla KEL 12 DUNE di Mestre, che richiedeva un minimo di 6 partecipanti per una permanenza in Libia di 14 giorni, di cui ben 9 di cammino!
Il programma e’ molto allettante e noi siamo impazienti di partire.

Domenica 24 Dicembre 2000
Partiti ieri, siamo giunti in serata a Francoforte, dove abbiamo trascorso la notte in un albergo vicino all’ aereoporto. Voliamo infatti con Lufthansa, che ci condurra’ con un altro volo a Tripoli, quest’ oggi.
Appena scesi dall’ aereo facciamo la conoscenza con Hassan, un ragazzo egiziano che sara’ la nostra guida di lingua italiana durante tutto il viaggio, e con gli altri partecipanti al trekking: 5 ragazze ed un ragazzo. Scopriamo, guardandoci stupiti intorno, che in questo aereoporto non esiste una sola parola scritta in una lingua diversa dall’ arabo… rendendoci conto con una certa dose di divertimento, che se fossimo venuti qui da soli, avremmo potuto rimanere in balia di questo posto per giorni interi senza capirci assolutamente nulla!! Anche perche’ la sola lingua straniera conosciuta dai pochi libici poliglotti e’ il francese, che noi non parliamo!
Fortunatamente c’e’ Hassan, che sbriga per noi le pratiche aeroportuali; dobbiamo infatti prendere un altro volo che ci condurra’ in mezzo al deserto, piu’ precisamente al paese di Sebha. Ci sono pero’ dei problemi al velivolo (!) per cui, almeno per il momento, non partiamo. Dopo qualche tempo trascorso a discutere sul da farsi, decidiamo di salire a bordo di un pullman assieme ai partecipanti di un diverso tour della KEL12 in Libia: nostra meta comune, la medina di Tripoli!
Costruita nell’ antichita’ dai Fenici, questa medina e’ stata poi perfezionata dai Romani che la trasformarono in una sorta di fortezza; contornata da mura, l’ accesso e’ possibile attraverso 7 porte, fra cui quella “del mare” da cui stiamo entrando ora. Appena fuori troneggiano i resti ancora maestosi dell’ arco di Marco Aurelio.Arco di Marco Aurelio
Prima di entrare nella medina, ci aspetta una stupenda sorpresa: il muezzin della moschea dietro all’ arco ci permette di entrare a visitarla! E’ per noi una grande emozione, dato che siamo abituati alla rigidita’ degli islamici in fatto di religione, che normalmente non permette neppure di fotografare la facciata delle loro belle moschee! Approfittiamo quindi di questa inaspettata occasione e, dopo aver ammirato i bellissimi mosaici che abbelliscono i muri esterni, ci togliamo le scarpe ed infiliamo il naso in un mondo a noi precluso e sconosciuto e dove solo la nostra immaginazione si era potuta finora spingere. Ci troviamo in una sala molto vasta e dal soffitto altissimo, costituito da tante cupole decorate da motivi arabeschi uno diverso dall’ altro; splendidi lampadari a gocce di cristallo pendono inerti dal centro di ogni cupola e solo alcuni sono accesi, cosi’ da creare un’ atmosfera incredibile e magica, fatta di colori caldi ed avvolgenti, di ombre e di un mistico silenzio. Il pavimento e’ interamente tappezzato di bellissimi tappeti rossi, blu’ e marron; le pareti sono tutte coperte di piastrelle dipinte a mano a motivi floreali. Al centro di una delle pareti si trova una scaletta sottile, coperta da un tappeto rosso, attraverso la quale si accede al piano superiore dove si recano a pregare le donne, che ovviamente stanno separate dagli uomini anche nella moschea.
Usciamo controvoglia dalla penombra per ritrovarci in un mondo di luce e rumori e ci occorrono alcuni secondi per tornare alla realta’!
Ma siamo curiosi di visitare anche la medina, cosi’ attraversiamo la porta e camminiamo su una bella stradina; scopriamo in breve che tutta la medina e’ un intrico di stradine strette ed in leggera salita, per ovvie ragioni difensive, su cui si affacciano casette basse e bianche con belle porte azzurre, verdi o marron. Ci sono diversi ponticelli ad arco che si stagliano sul cielo sopra di noi: sono veri e propri ponti fra una casa e l’ altra che permettono di non scendere mai in strada.
Osserviamo botteghe, negozi, stoffe coloratissime, spezie profumate, teiere, ciabatte, tappeti… e alti puntali di moschee con la caratteristica mezzaluna simbolo dell’ Islam appena forgiati dalle mani di abilissimi fabbri!
Terminato il giro, torniamo verso l’ aereoporto, dove continueremo la nostra attesa dell’ aereo per il resto della giornata. Sfruttiamo questa forzata immobilita’ per conoscere meglio le persone con cui vivremo a stretto contatto nei prossimi giorni, per osservare curiosi la vita frenetica dell’ aereoporto lentamente calmarsi sul far della sera, per iniziare a domandarci se mai partiremo da qui! Sono passate infatti ormai 10 ore e non ne possiamo letteralmente piu’. Ci sdraiamo sul pavimento della saletta dove ci hanno sistemato, insieme ad un centinaio di altre persone, turisti come noi e locali, in attesa degli eventi.

Lunedi’ 25 Dicembre
L’ alba ci coglie ancora tutti qui, assonnati e doloranti per la posizione scomoda della notte.
Ormai partire e’ diventata una questione vitale e cerchiamo di capire perche’ siamo ancora qui, mandando Hassan ad informarsi. Il velivolo necessita di un pezzo di ricambio (!) che deve arrivare da chissa’ dove, ci ha riferito poco dopo; successivamente abbiamo atteso l’ arrivo del pilota, quindi tutto pare pronto per l’ imbarco. Ma sono gia’ le 13 quando finalmente mettiamo i piedi su un bimotore color sabbia della Libian Air. Con ben 18 ore di ritardo… stiamo infine rullando sulla pista dell’ aereoporto di Tripoli!!! Non ci sembra vero e ci prepariamo a gustare l’ ebbrezza del volo.
Dall’ alto si vede bene la geologia del paese; verde vicino al mare e per un centinaio di km verso l’ interno, diventa all’ improvviso completamente desertico di li’ in giu’. Il volo dura circa un’ ora e mezzo, dopo di che atterriamo a Sebha, paesone di 100 mila anime, anonimo avamposto in mezzo a terre deserte. Da qui veniamo accompagnati ad un albergo su una piccola collina, dove possiamo finalmente mangiare e riposare per bene.
Dopo cena, infatti, e dopo una mezz’ora passata col gruppo ad organizzare il trekking (ci sara’ infatti da ritoccare una tappa per colpa di questo ritardo), ognuno si ritira esausto nella propria camera. Siamo pero’ felici perche’ domani finalmente ci lasceremo alle spalle la civilta’ con tutti i problemi ad essa legati!

Martedi’ 26 Dicembre
Due pullmini arrivano dopo pranzo, caricano i nostri zaini e ci fanno salire: ci aspettano 600 km di strada asfaltata che ci condurranno a Ghat, in pieno Sahara. Attraversiamo paesaggi deserti e superbi, puntellati di piccole alture rocciose o sabbiose. Ci fermiamo solo per comprare un po’ di frutta, pane e bibite. Ma la strada e’ molto lunga e ne approfittero’ per raccontare un po’ di storia della Libia.
GheddafiBreve storia della Libia.Siamo nel nord Africa, a pochi km dalle coste della nostra isola piu’ “africana”, Lampedusa. La Libia confina ad est con l’ Egitto, ad ovest con l’ Algeria e a sud con il Ciad. E’ bagnata dal Mediterraneo, solcando le acque del quale le imbarcazioni di innumerevoli popoli dell’ antichita’ si spinsero alla sua conquista. Anche l’ Italia fu a lungo interessata al dominio delle sue coste, in tempi moderni come in tempi antichi, quando anziche’ di Italia si parlava ancora di Regno dell’ Antica Roma. I Romani si impossessarono di alcune citta’ costiere fondate dai Fenici, “romanizzandole” ad arte e dando cosi’ vita a gioielli come Sabratha e Leptis Magna. Per passare ai giorni nostri, l’ Italia condusse un’ ampia manovra di colonizzazione, lasciando fortini in mezzo al deserto, confinando i nomadi in campi con la scusa di ridurre il nomadismo, ma anche portando avanti in modo esemplare una grande campagna per sconfiggere la malaria, costruendo pozzi e pompe, rassodando terreni aradi trasformandoli in magnifici campi di mandorli, ulivi, mandarini, aranci e viti, costruendo una rete stradale che permette tuttora di raggiungere i principali paesi. Ha costruito anche scuole ed ospedali, in modo che, perlomeno la parte sedentaria della popolazione, non ha serbato tutto sommato cattivi ricordi della colonizzazione. Le cose peggiorarono con l’ arrivo di numerosissime famiglie italiane, che ovviamente si impossessarono dei terreni migliori ed arrivarono a superare addirittura il numero di indigeni! Scoppio’ la seconda Guerra Mondiale, in seguito alla quale la Libia fu proclamata monarchia da un emiro che aveva opposto grande resistenza alla colonizzazione italiana. Durante il regno di Re Idris, sotto il suolo libico viene scoperto il petrolio, che rendera’ il paese uno dei piu’ importanti fornitori mondiali di greggio; ma la fortuna bacia solo un quarto della popolazione, che per la maggior parte e’ rappresentata da miserabili. Cosi’, nel 1969, un colpo di stato incruento porta al potere Gheddafi, il quale sostiene di voler dare piu’ potere alla massa, essendo lui stesso figlio di beduini e quindi povero. Egli utilizza gli introiti del petrolio per grandi lavori pubblici, soprattutto mirati a portare l’ acqua dove non c’e’, pompandola da enormi falde in pieno deserto e portandola mediante maestosi acquedotti dove serve. Fa smantellare le basi militari inglesi ed americane, nazionalizza il 51 % delle multinazionali che estraggono il petrolio nei suoi territori, caccia tutta la comunita’ italiana, confiscando ogni suo bene. Nel 1973 presenta al mondo il suo Libro Verde, che dovrebbe essere secondo lui una via di salvezza dal capitalismo che ormai imperversa nel mondo occidentale. Dal 1974 Gheddafi e’ coinvolto in episodi di terrorismo, in seguito ai quali, nel 1994, le Nazioni Unite proclamano l’ embargo alla Libia. Questa risoluzione stritola pian piano il paese, fa impazzire i prezzi, favorisce il mercato nero e danneggia la popolazione; lentamente il dittatore inizia ad intiepidirsi, fa chiudere i campi di addestramento di gruppi terroristici. Nel 1997 Papa Woityla si schiera per la fine dell’ embargo, insieme a Nelson Mandela che aveva ottenuto sostegno ed aiuti per la sua lotta antiapartheid in Sudafrica dallo stesso Gheddafi. E’ cosi’ che nel 1998 ha fine questo periodo buio per la Libia, la quale apre immediatamente le porte al turismo e ai rapporti con l’ estero. Ed e’ grazie a questa apertura che noi siamo qui oggi, in trepidante attesa di scoprire le meraviglie nascoste di un paese cosi’ vicino al nostro ma per tanti anni cosi’ lontano.

La montagna maledetta

Lentamente il sole si abbassa all’ orizzonte, mentre noi superiamo ancora un posto di blocco dove giovani ed annoiati militari si alzano da terra per venirci incontro e scambiare quattro chiacchiere, finalmente contenti di vedere qualcuno. E’ quasi buio quando incontriamo una jeep dal vivace colore giallo; e’ ferma lungo la strada e noi ci fermiamo subito dopo. Ne scendono tre magnifici tuareg, nelle loro lunghe vesti; ci dice Hassan che sono alcuni dei ragazzi che ci accompagneranno nel deserto …e che sono fermi li’ ad aspettarci da ieri sera! Proseguiamo quindi il nostro viaggio, per giungere in breve ad uno spiazzo sabbioso a lato della strada, dove passeremo la notte. Scendiamo dai pullmini e ci guardiamo attorno, esausti ma felici: domani inizieremo a camminare ma gia’ ora assistiamo ad uno spettacolo della natura che ci lascia sempre una bel ricordo: il tramonto. La luce del sole morente sta colorando di rosso ogni cosa, ed in particolare rimaniamo incantati da una spettacolare formazione rocciosa che i tuareg chiamano “la montagna maledetta”, poiche’ la leggenda la vuole abitata da alcuni spiriti maligni.
Montiamo le tende, ceniamo intorno ad un bel fuoco, mentre i tuareg se ne stanno poco distanti intorno al loro fuoco. Quando ci diamo la buonanotte sono gia’ le 10 e 30.

La nostra guida Hassan

Mercoledi’ 27 Dicembre
Anche l’ alba su questa sabbia rossa e’ splendida. Dopo colazione disfiamo in breve tempo l’ accampamento e risaliamo sui pullmini. A soli 30 km da dove siamo ora c’e’ Ghat, ultimo posto civilizzato prima del “grande nulla” del deserto. Vi giungiamo tutti elettrizzati dal piacere della scoperta e restiamo abbagliati dalla bellezza del posto. Ghat e’Monili in argentoun minuscolo paese abitato da tuareg gentili, che appena ci vedono da lontano si avvicinano silenziosi e stendono a terra le loro coperte che ricoprono con splendidi monili fatti intermante a mano; sono infatti ottimi modellatori di argento e gli oggetti costano anche parecchio! Il paese e’ costituito da una sorta dilabirinto di case basse e di un materiale simile al tufo che, essendo costituito dalla terra dei dintorni, si confonde in modo sublime al paesaggio circostante.La cosa piu’ bella e’ che il fondo su cui si cammina e’ sempre e solo costituito da sabbia rossa e morbidissima. E del resto non potrebbe non essere cosi’: siamo nel deserto e la sabbia copre ogni cosa, figuriamoci se non si deposita sulle stradine fra le case!
Torniamo alle auto, per scoprire che i nostri zaini sono stati trasferiti a bordo di 2 jeep, dal momento che iniziamo da qui a penetrare in territori selvaggi dove il solo mezzo che puo’ agevolmente muoversi e’ una vettura 4 per 4 …oltre che i nostri piedi 2 per 2!!
Percorriamo un tratto di pista verso est, osservando davanti a noi innalzarsi sempre piu’ il profilo scuro di un’ altopiano roccioso, verso cui ci dirigiamo decisi. Siamo incantati e non riusciamo a staccarne gli occhi: e’ quello il deserto che attraverseremo, che sara’ la nostra casa per i prossimi 9 giorni, che ci donera’ emozioni uniche…e’ proprio il Tadrart Akakus!
Il Tadrart Akakus e’ un parco nazionale e rappresenta il proseguimento di un altro parco, il Tassili algerino. E’ costituito da un massiccio altopiano di arenaria, attraversato da fiumi fossili risalenti alla preistoria che hanno scavato profondi e spettacolari canyon, sulle pareti dei quali troveremo i chiari segni del passaggio dell’ uomo. Si sviluppa in senso nord-sud e noi lo penetriamo a livello delle sue pendici meridionali; il nostro tragitto percio’ prevede di camminare per un centinaio di km verso nord, per ridiscendere a valle di fronte alle belle dune dell’ erg Murzuk.

Verso l’Akakus

Ma per il momento siamo appena scesi dalle jeep e, infilati gli zaini, iniziamo a procedere verso le roccaforti occidentali dell’ altopiano. Le jeep fanno dietro front e noi restiamo soli. Improvvisamente siamo proiettati in un mondo silenzioso e puro, dove gli unici elementi estranei siamo proprio noi. Oltre a noi 8 e ad Hassan, procede davanti a noi Argh Mohammed, un anziano tuareg di ben 65 anni che sara’ la nostra guida terrestre. Camminiamo e impariamo subito una cosa importante: notiamo infatti che la nostra guida cammina di preferenza vicino ai pochi cespugli che ricoprono questa vasta distesa petrosa. Il motivo e’ di una semplicita’ tale che ci meravigliamo tutti di non averci pensato:L’altopiano la vegetazione nasce dove c’e’ acqua, ovvero un fiume o un torrente. Qui di acqua non c’e’ neppure l’ ombra, ma se osserviamo bene il terreno, ci accorgiamo di star seguendo il letto in secca di un corso d’ acqua che ha lasciato un poco di umidita’ nel terreno sottostante, da cui le poche piante traggono nutrimento.Ebbene, quando l’ acqua scorre leviga i sassi lungo il percorso, arrotondandoli e riducendoli… quindi camminarvi sopra risulta piu’ agevole che lontano dal corso d’ acqua!! Quante cose impareremo in questa manciata di giorni…avremo modo di stupirci della nostra ignoranza e della sapienza di questa gente del deserto che nella conoscenza del paesaggio ha tratto la chiave della salvezza, specialmente nel passato quando era nomade.
Ci avviciniamo sempre piu’ all’alta parete rocciosa, seguendo sempre il tuareg. Osserviamo il suo abbigliamento curioso e pittoresco: un paio di pantaloni blu, un vestitone verde lungo fino alle ginocchia, un giubbotto verde scuro tenuto aperto, un turbante bianco attorno al capo e due semplicissimi sandali ai piedi. Ci sembrano cosi’ fuori luogo i nostri scarponi da montagna guardando lui! Intanto per terra notiamo alcune “palline” vegetali color giallo; sono i piccoli frutti di una pianta strisciante tipica dei climi aridi, che una volta maturi si staccano, si seccano al sole fintanto che la polpa all’ interno si asciuga, liberando i semini che poi sono trattenuti dalla dura buccia esterna. Il risultato sono queste simpatiche palline che se scosse ricordano molto le maracas!
Dopo una sosta ed uno spuntino energetico a base di banane, arance e uova, iniziamo la risalita della parete, alla base della quale siamo infine giunti. Bellissime cenge invisibili da lontano si inerpicano lentamente fino in cima, da dove lo sguardo spazia sulla vastita’ della valle appena attraversata. In alcuni punti ci accorgiamo di camminare letteralmente sui fossili; grandi lastre scure sono infatti completamente rivestite di splendidi fossili di antichissime piante grasse.
Una volta giunti sulla cima si vedono a valle i segni lasciati dai corsi d’ acqua asciutti.

Pitture rupestri

E’ stupendo quassu’, ma la guida ci fa cenno di seguirla: la tappa e’ ancora lunga e dobbiamo arrivare al campo serale con la luce. Voltiamo percio’ le spalle alla valle, osservando davanti a noi l’ esistenza di una seconda e piu’ bassa parete da risalire. Una volta giunti sull’ altura sommitale, i nostri occhi si perdono in un’ enorme distesa piatta e scura, da cui si innalzano bizzarre formazioni chiare; la guida si sta dirigendo decisa verso una di queste, dalla curiosa forma di un fungo. Arrivati ai suoi piedi, scopriamo meravigliati le prime pitture rupestri!Questo trekking viene chiamato “museo sotto le stelle” proprio per ricordare una delle caratteristiche importanti dell’ Akakus, ovvero le sue pitture rupestri, universalmente conosciute per la loro bellezza. E avremo modo di verificare di persona l’ integrita’ di queste forme d’ arte primitiva, i colori ancora incredibilmente vivaci, il senso della prospettiva e delle proporzioni che i nostri antenati di 6, 7 mila anni fa avevano imparato ad usare.Pitture rupestri
I colori bianco e rosso usati sono stati impastati con albume d’ uovo o con latte, nel chiaro intento degli uomini di allora di fare arrivare i loro disegni fino ai giorni nostri. In tutto cio’ troviamo una sorta di magia e di mistero affascinanti!
Proseguiamo col naso per aria scoprendo mucche pezzate, bellissimi struzzi e singolari uomini senza braccia.
Ritorniamo sulla distesa di rocce scure, staccandoci lentamente dal gruppo per respirare un’ aria piu’ solitaria e silenziosa. Poco dopo notiamo in distanza una lingua di sabbia chiarissima alla base di un roccione, e li’ sotto si trova la jeep gialla con il resto dei tuareg che ci accompagnano.
In effetti, le nostre giornate prevedono di camminare in luoghi selvaggi e silenziosi, per cui le jeep seguono un itinerario differente dal nostro, incontrandoci solo al campo della sera e, quando e’ possibile, anche al campo di mezzogiorno. Con noi viaggia sempre Argh Mohammed, senza il quale ci perderemmo dopo 5 minuti e moriremmo tutti di sete e di fame! Sulle jeep invece ci sono il cuoco, l’ aiutocuoco, l’ autista ed il capo spedizione che fa pure lui da autista. Per il momento non li conosciamo ancora, poiche’ mantengono le distanze e noi li rispettiamo per questo.
Sulla sabbia pranziamo con insalata, formaggio, riso e frutta. Poi ci riposiamo una mezz’ oretta, quindi riprendiamo il cammino, passando a fianco di altre spettacolari formazioni chiare su di uno splendido terreno scuro di minuscole rocce. Ben presto ci accorgiamo che le ombre iniziano ad allungarsi e che il mondo si dipinge di un rosso intensissimo. Si avvicina il momento piu’ bello della giornata nel deserto, e copriamo in fretta gli ultimi metri che ci separano dal luogo stabilito per trascorrere la notte.L’ arco Quando arriviamo, prima ancora di togliere gli scarponi dai piedi doloranti, ci guardiamo intorno a bocca spalancata. Siamo stupefatti per la bellezza di questo posto, e giorno dopo giorno ci renderemo conto che i tuareg hanno scelto per le nostre notti i posti piu’ belli di tutto l’ Akakus!
Ci troviamo infatti in un piccolo circo roccioso che nasce come per miracolo sulla distesa piatta attraversata oggi; interamente costituito di arenaria rossa, si modella davanti a noi in uno spettacolare arco naturale alto circa 50, 60 metri, che sembra disegnato sul blu del cielo. E’ una visione mozzafiato, ma dobbiamo montare le tende prima del buio, cosi’ rimandiamo a domani l’ ammirazione per l’ arco.
E’ troppo bella l’ atmosfera del campo a quest’ ora: ognuno in silenzio monta il suo giaciglio, chi ha finito o chi preferisce dormire sotto le stelle contempla il cielo farsi sempre piu’ scuro, i tuareg si affacendano attorno al fuoco coi loro vestitoni lunghi, la temperatura gradualmente si abbassa. Una magia che prosegue con la cena, tutti seduti su bei tappeti ed alla sola luce del fuoco e di una piccola lampada a gas. Che ricordi meravigliosi, che momenti indimenticabili…devo sforzarmi di proseguire il racconto perche’ rischio di emozionarmi troppo………

Giovedi’ 28 Dicembre
Passiamo una notte splendidamente tranquilla, come solo il deserto sa regalare. La luce del giorno ci coglie gia’ indaffarati nell’ accampamento; subito dopo colazione dobbiamo infatti partire poiche’ la tappa di oggi e’ molto lunga. Ma riusciamo a ritagliare un quarto d’ ora tutto dedicato al meraviglioso arco: qualcuno non resiste alla tentazione di scalarne la vetta, e quando 2 di noi arrivano lassu’ sono solo dei puntini colorati!
Salutiamo questo bell’ angolo e ci incamminiamo dietro la guida dal passo velocissimo. Io ed Taddy restiamo spesso indietro perche’ ci fermiamo a fare una foto o a contemplare il panorama che ci lasciamo alle spalle. E’ comunque impossibile perdere il gruppo, dato che il terreno e’ anche oggi tanto piatto da sembrare una distesa senza fine.
Camminiamo in silenzio e l’ unico rumore che si ode e’ quello dei nostri passi. Fa caldo e lentamente, col passare delle ore, ci spogliamo da giubbotti e maglioni per restare in maniche corte. Osserviamo con una certa dose di invidia Argh Mohammed: da quando e’ partito e’ rimasto esattamente vestito uguale. Queste persone sono talmente temprate dai climi estremi della loro terra che pare davvero non si accorgano delle variazioni di temperatura!

Il gruppo

All’ orizzonte non si vede nulla, ma se ci soffermiamo a guardarlo pare che si arrotondi su se stesso, dandoci l’ impressione di camminare su un’ enorme sfera nera. Cosi’ il nostro procedere si trasforma in una sorta di allucinazione, pare di muoversi senza spostarsi di un solo millimetro, il panorama circostante sempre identico. Osservando il terreno, poi, le piccole pietre tutte simili e del medesimo colore, appoggiate ad un suolo piu’ chiaro, quasi alla stessa distanza le une dalle altre, accentuano ancor piu’ lo stato di placida ed estatica ipnosi!
Noi siamo tutti tranquillissimi, ogni stress legato alle nostre vite in citta’ si e’ definitivamente dileguato; la vita qui e’ semplicemente camminare e non pensare a nulla se non alla bellezza dei luoghi. Nessuno ha fretta di arrivare in un qualche posto: abbiamo iniziato a “vibrare” in sintonia all’ energia del deserto! Anche il nostro modo di parlare e’ cambiato, e’ piu’ calmo e riflessivo. Ogni nostro gesto denota una grande serenita’.
All’ improvviso, ecco sollevarsi l’ orizzonte: gli occhi di tutti noi vengono catturati da questa nuova immagine, che si rivelera’ una formazione di arenaria tutta mammellonata, sulla quale saliamo. Dalla cima osserviamo una distesa si rocce alte e stratificate, chiare, che formano talvolta torrioni pittoreschi dai fianchi sapientemente erosi dal vento. Una visione fantastica, rallegrata anche da alcune pitture rupestri.
Poco oltre ci aspettano i tuareg per il pranzo: un’ altra visione favolosa perche’ siamo affamati!
Si riparte presto e si torna su un terreno simile in tutto e per tutto a quello di questa mattina, con la differenza che ora si vedono bene i segni lasciati dai pneumatici delle jeep. Rovinano un po’ la selvaggezza del posto ma non ci facciamo troppo caso, anche perche’ alla nostra sinistra sta succedendo qualcosa di incredibile.Il gruppo
Il terreno si interrompe di netto e sprofonda in un precipizio profondissimo: affacciandoci ci sentiamo improvvisamente gli esseri piu’ piccoli del mondo. Una spaccatura enorme si stende sotto di noi, un canyon spettacolare solcato da altri canyon minori, in un susseguirsi di anse morbide e depressioni vertiginose: un maestoso mondo primordiale!
Proviamo ad immaginare questo posto dieci milioni di anni fa, quando il clima era mite e c’erano enormi fiumi, valli verdi e praterie, e su queste migliaia di animali selvaggi e addomesticati dagli stessi uomini che ci hanno lasciato le pitture… ma e’ piuttosto difficile!
Dopo aver proseguito un’ altra ora circa, allontanandoci e riavvicinandoci ai canyon, vediamo venirci incontro le due jeep dei tuareg. Hassan ci aveva infatti informato che non avremmo potuto raggiungere a piedi il campo, sempre per colpa di quel fatidico ritardo a Tripoli, dunque l’ unica alternativa sarebbe stata quella di fare l’ ultimo tragitto sulle jeep. Siamo dispiaciuti, ma accettiamo di buon grado la soluzione. Saliamo sul retro di una delle jeep (l’ altra e’ piena di legna da ardere, raccolta durante il tragitto dai tuareg: si tratta per lo piu’ di rami secchi di acacia, uno dei pochi arbusti che vive a queste temperature), cercando di coprirci come possiamo il viso: arriveremo, pieni di polvere, sul far della sera al luogo destinato al campo, dopo aver coperto una distanza di 17 km da questa mattina.
L’accampamento viene allestito in fretta, su una vasta distesa di sabbia soffice e calda. Tutto intorno ci sono cespuglietti dal tenue colore verdino, che i tuareg usano per fare tisane contro la cattiva digestione. La temperatura scende di parecchio durante la notte, per cui ci copriamo bene prima di sederci attorno al fuoco. E qui, al profumo forte della legna arsa, al canto silenzioso delle stelle e sotto lo sguardo timido e misterioso dei tuareg, ha inizio un’ altra splendida notte nel deserto.

La “lavagna”

Venerdi’ 29 Dicembre
La luce del sole accende un nuovo giorno di cammino. Si parte come al solito verso le 9, dopo una sostanziosa colazione. Si torna sul terreno scuro di ieri, movimentato pero’ oggi da diversi roccioni molto belli. Durante il nostro lento procedere abbiamo tutto il tempo di accorgerci e di cogliere i piu’ piccoli particolari del mondo che ci sta attorno: e’ questa la cosa che amiamo di piu’ dell’ andare a piedi, e anche qui nell’ Akakus ci sono mille piccole cose degne di essere osservate …a dispetto di chi pensa che nel deserto non c’ e’ nulla!
Le pietre su cui camminiamo, per esempio, sono per la maggioranza quasi perfettamente tonde, erose dal vento che le fa rotolare sul suolo duro: ci divertiamo a trovare la piu’ perfetta! Il colore e’ pure importante: queste “palle” sono nerissime, tanto da sembrare di roccia lavica, e pesantissime. Molte, sollevandole da terra, si presentano bionde sotto: e’ il sole che ne ha ossidato col tempo la faccia superiore. Talvolta incontriamo delle zone di terreno chiaro completamente libero dalle pietre, e di solito queste rare aree hanno una forma circolare ed un diametro di 1 o 2 metri: chissa’ come si formano?
Improvvisamente il colore cambia e ci ritroviamo a camminare su bellissime pietre viola! Poi appare qualche cespuglio spinoso a ricordarci che la vita e’ possibile anche qui, e l’ anima si solleva ancor piu’ quando fra le spine scorgiamo un timido fiorellino rosa! Queste sono le piccole cose che fanno emozionare in un deserto.
All’ orizzonte ci sono delle rocce basse ma molto modellate, verso le quali siamo diretti; quando ci arriviamo (giocano strani scherzi le distanze qui: per la nitidezza dell’ aria, sembra sempre che quell’ altura sia li’ …ma quando sono passate due ore ci accorgiamo che e’ ancora la’!!) scopriamo di entrare in un fantastico labirinto di sculture di roccia chiara e stratificata. Quando poi all’ improvviso il panorama torna come per incanto a riaprirsi… le parole non possono descrivere lo stupore che tutti noi abbiamo provato nel trovarci di fronte quello spettacolo!Incisione rupestre
Una parete alta circa 10 metri e’ per meta’ crollata in grossi massi accatastati ai suoi piedi, lasciando a nudo una seconda parete, incredibilmente levigata, che scopriamo essere parallela alla prima ma divisa da essa da una fessura di circa 40 cm. La cosa piu’ spettacolare e’ che questa seconda parete, che battezziamo “la lavagna”, e’ completamente ricoperta di geroglifici!
Tracciati nella roccia viva, formano delle colonne verticali e, Hassan ci spiega, nessuno e’ ancora riuscito a decifrarli. Il fascino del mistero ci avvolge, e si accresce anzi quando sentiamo il resto della storia. Si racconta che, nelle notti di luna piena, in un dato periodo dell’ anno, la luna mandi i suoi raggi argentei attraverso la fessura fra le due pareti …illuminando tutta la “lavagna”: che spettacolo!
Lasciata questa fetta di storia, proseguiamo in silenzio ed in fila indiana perche’ sul terreno e’ ben visibile un sentierino privo di sassi. Dopo un’ ora circa ci aspetta il pranzo, poi torniamo ad infilare gli scarponi e ci accingiamo a seguire il tuareg che ci sta incitando a metterci di nuovo in marcia. Lentamente ci rendiamo conto che c’e’ della sabbia fra le pietre e che, piu’ proseguiamo, piu’ essa si fa largo, fino a proiettarci decisamente sulle dune! Il panorama cambia ancora una volta, lasciandoci di sasso per la meraviglia. E’ troppo bello arrivare gradualmente sulle dune; ogni momento e’ una conquista del nostro lento ma deciso procedere.
Su di una parete rocciosa, nascosta da alcuni arbusti frondosi, la guida ci mostra una splendida incisione: in scala di circa 1 a 4 sta di fronte a noi un elefante!! Approfittiamo di questo bel posto per mangiare qualche arancia, poi torniamo a camminare. Ormai la sabbia e’ ovunque intorno a noi e rallegra gli occhi col suo caldo colore rosso; da essa spuntano fantastici torrioni che disegnano vallate e corridoi su cui noi ci sentiamo piccolissimi. La sabbia mette a dura prova le nostre gambe, gia’ doloranti, sopprattutto nelle ore centrali della giornata, quando la temperatura e’ maggiore e la sabbia piu’ morbida: si sprofonda ed ogni duna sembra un muro!

Campo serale

Cosi’ passa il pomeriggio e quando le ombre nitidissime delle rocce si disegnano sul suolo sabbioso noi siamo stanchissimi. Dopo aver superato un ennesimo costone, ci giriamo in direzione est …e ci fermiamo tutti di scatto. Proprio di fronte a noi, sulla sommita’ di una duna ed ai piedi di una enorme piramide naturale, le jeep dei tuareg ci segnalano che siamo arrivati. Il luogo e’ assolutamente bellissimo e noi, uno dopo l’ altro, ci lasciamo cadere a terra, da dove iniziamo una lunga contemplazione. Sappiamo che dovremmo andare a montare le tende, ma non ci interessa: vogliamo solo restare qui a riempirci gli occhi di tanta selvaggia bellezza, per non scordarla mai piu’, per portarla sempre con noi. Qualcuno fa una battuta: ” Ragazzi… non ce ne frega piu’ niente di niente …siamo allo sbando ormai!!” e giu’ tutti in una sonora risata che contagia anche Hassan e la guida! Cosi’ restiamo sdraiati ancora una mezz’ oretta, ovvero fin quando si rende assolutamente improrogabile l’ allestimento del campo!Il the’ Saliamo la duna, abbracciata sui dui lati da altre pareti rocciose, oltre ovviamente alla spettacolare piramide che ci proteggera’ dai venti questa notte. Ognuno sceglie poi il proprio posto e si monta la tenda; i tuareg dormono sempre all’ aperto, coperti anche nelle notti piu’ fredde da una semplice coperta di lana grezza.
Quando ci raduniamo per la cena, ci attende una bella sorpresa. I tuareg, infatti, ci invitano al loro fuoco e noi non ce lo facciamo ripetere; per tutti noi questi tuareg hanno rappresentato moltissimo in questa avventura, ne sono stati parte integrante e conoscerli meglio era allora il nostro piu’ intimo desiderio! Percio’, quando Hassan ci mette a conoscenza della loro usanza di fare le presentazioni con delle persone estranee solo la terza sera di “convivenza”… ci si illuminano gli occhi ed improvvisamente proviamo ancora piu’ rispetto per questo popolo, per la sua riservatezza e timidezza, oltre che per l’ attaccamento alle tradizioni che speriamo non debbano mai morire. Ci sediamo quindi in circolo, allungando le mani ed i piedi verso le fiamme (qualcuno si brucera’ le suole delle scarpe!). Ognuno dice il proprio nome, anche i tuareg, e la motivazione che lo ha spinto a venire nel deserto. Poi ci raccontiamo storie e curiosita’ finche’ non giunge ora di cena. I cuochi sono bravissimi, sapendo unire i sapori della loro cucina ai nostri piu’ occidentali, esibendosi ogni sera in una zuppa diversa a base di legumi squisiti e salsa piccante e secondi di pollo e capra con verdure cotte saporite. Serberemo ottimi ricordi anche dei pasti del deserto!
Prima di andare a dormire, dopo aver parlato ancora a lungo intorno al fuoco, decidiamo di fare una breve passeggiata senza gli scarponi sulla sabbia soffice, ormai fattasi fresca, al buio di una notte appena illuminata da una sottile falce di luna. Il pericolo rappresentato dagli scorpioni e dai serpenti, temibili abitanti del deserto, non sussiste in questa stagione, dato che si chiudono in una sorta di letargo per risvegliarsi quando la temperatura tornera’ a rialzarsi, ovvero in primavera. Cosi’ risaliamo un’ alta duna dalla quale godiamo di una vista fantastica sul campo, dove i fuochi mandano lingue rosse sulle pareti rocciose. Girando intorno lo sguardo, invece, non si scorge una sola luce che non sia quella delle stelle: notte nera e silenziosa, avvolgici nella tua tranquillita’ e tienici stretti fino a domani….

Sabato 30 Dicembre
Ci prepariamo ad una nuova giornata di cammino, salutando questo meraviglioso posto. Scendiamo in una ampia valle di sabbia, incontrando diverse pitture, fra cui una splendida scena pastorale lunga circa 2 metri, dove si osservano uomini intenti a cacciare, a bere in una capanna, a condurre le mucche al pascolo, a mimare scene di guerra indossando caratteristici copricapi con le corna! Ma Argh Mohammed non ci lascia mai troppo tempo: anche la tappa di oggi e’ lunga. Dalla sabbia si passa ad un suolo piu’ compatto, dove ad un certo punto incrociamo una piccola e strana carovana: 3 cammelli, un uomo sul dorso di uno di essi ed un tuareg davanti che fa strada. Sapremo piu’ tardi che si trattava di un turista che ha scelto di vivere da solo il deserto, con la sua guida; bello, ma quanto gli sara’ costato?
Poco dopo avvistiamo un gruppo di cammelli sparsi in una valletta verso la quale siamo diretti. La nostra guida ci fa fermare, per dirigersi decisa verso un tuareg sdraiato ad osservare i suoi cammelli. Si conoscono e noi restiamo a guardarli parlare a grandi gesti, scoppiare a ridere e salutarsi subito dopo. Tornato verso il gruppo, il nostro tuareg si riavvia nuovamente in silenzio verso un restringimento della valletta.

Argh MohammedHamadane

Insieme a noi, oggi cammina tutto il giorno anche Hamadane, il capo spedizione, che merita due parole! Devo dire, infatti, che dopo la serata di ieri, i tuareg sono molto cambiati con noi: oggi sembra che ci conoscano da sempre, ci sorridono e ci fanno piccoli scherzi. Proprio Hamadane e’ il piu’ estroverso dei cinque, ed alla fine della giornata avra’ dato ad ognuno di noi un buffo soprannome, nato dalla sua osservazione del gruppo in questi giorni! Si diverte anche a tirarci la maglia da dietro mentre camminiamo, cosa che ci fa scoppiare a ridere ogni volta!
In una occasione, mentre Taddy se ne stava in muta contemplazione del panorama, seduto sul crinale di una duna, l’ ho visto strisciare sul fianco della stessa duna, alle spalle dell’ ignaro poveretto… e quando e’ giunto a pochi centimetri dal suo sedere, ha infilato un dito sotto la sabbia e poi l’ ha punzecchiato da sotto in su’ . Taddy, pensando ad uno scorpione, ha fatto un salto incredibile, rotolando poi giu’ dalla duna, nel clamore generale di una gran risata!! Insomma, ci divertiamo un sacco in loro compagnia; si sono trasformati in simpatici giullari del deserto!
Oggi e’ la giornata degli incontri, infatti vediamo passare un gruppo sull’ altro lato di una valle: forse sono quelli di Avventure Nel Mondo, che fanno piu’ o meno il nostro stesso giro ma in senso contrario.La dama !
Quando ci fermiamo per il pranzo, sotto il sole cocente, mangiamo in fretta e poi cerchiamo riparo all’ ombra delle jeep. I tuareg ci imitano quasi subito ed e’ bella questa sorta di intimita’ che nasce dal desiderio comune di proteggerci dalla forza della natura. Ne approfittiamo per imparare alcuni giochi che loro fanno sulla sabbia, come una specie di dama… bastoncini di legno contro cacchette secche di cammello!
Ripartiti, attraversiamo una valle scura in leggera salita, osservando le rocce a destra e a sinistra che si animano di spettacolari archi e buchi; la salita termina su di un panoramico crinale, oltre il quale scorgiamo un altra vallata, grandiosa e selvaggissima. Il silenzio di questi posti ci rimarra’ dentro a lungo, specialmente dei momenti di contemplazione di panorami come quello che abbiamo sotto gli occhi ora, mentre i tuareg si allontanano un po’ per inginocchiarsi verso la Mecca e pregare.
Scendiamo dunque e continuiamo a camminare fino a sera, entrando nella zona detta di “Ouiss”, caratterizzata da molta sabbia e spettacolari spuncioni di roccia. Attraversiamo una piana con moltissime impronte di pneumatici che il vento non riesce a cancellare, passando accanto ad un campo tendato dove si fermano i partecipanti ai tour in jeep. Noi ovviamente tiriamo dritto, andando a cercare nuovamente il silenzio e la solitudine, scalando dune su dune, riempiendoci gli occhi dei tanti spettacolari giochi del vento con la sabbia: onduline, creste, anse, profili a semiluna, teneri sbuffi dalle creste in un susseguirsi infinito di movimenti che modellano giorno dopo giorno il panorama. E’ infatti proprio la conoscenza dei venti che permette ai tuareg di non perdersi e di capire sempre dove si trovano; non potrebbero infatti basarsi solo sulla semplice memoria dei posti visitati, dei profili delle montagne o delle dune, troppo labili nel tempo! Ma ricordando invece che in quella determinata zona, per esempio, i venti predominanti spirano da sud a nord, osservando il profilo di una roccia capiscono quale e’ la direzione giusta da seguire. Ovviamente ho molto semplificato con le mie parole un misterioso processo mentale che accomuna la gente del deserto e che forse e’ meglio non cercare di capire affinche’ mantenga il suo fascino!
La sera e’ alle porte quando risaliamo l’ ultima duna quasi verticale, incastonata fra begli spuncioni rossi, fra i quali, giunti sulla sommita’, scorgiamo le jeep ed i tuareg. Il campo di questa notte si trova in bilico sulle dune, in una piccola area pianeggiante da cui si domina l’ intera valle sottostante. Bellissimo!
Mentre prepariamo le tende, qualcuno fa alzare gli sguardi di tutti, indicando laggiu’ nella valle una minuscola vettura che procede abbastanza veloce su una pista dritta e piatta: il suo rumore non arriva fin qui per via del vento e la sua visione pare piu’ simile ad un’ allucinazione che alla realta’… eppure ci ricorda che laggiu’, da qualche parte, c’e’ ancora la civilta’, alla quale nessuno di noi ha fretta di tornare. Siamo troppo felici qui, in mezzo a questo “niente” che ci riempie di qualcosa di incredibile, in compagnia dei nostri tuareg tutti indaffarati a preparare la cena!

La nostra tenda

Domenica 31 Dicembre
Questa mattina ci svegliamo con calma, senza il cucchiaino di Hassan che martella sul pentolino per tirarci fuori dalle calde tende. Impariamo infatti che oggi ci fermeremo qui, ovvero non cammineremo, poiche’ la prossima sera si festeggia il nostro capodanno ed e’ meglio questo luogo per l’ occasione piuttosto che scendere a valle.
Ad ogni modo, non staremo fermi nel campo, ma andremo a zonzo per conto nostro, nascondendoci come in un gioco dietro ad incantevoli denti di roccia che paiono immobili vedette ferme li’ ad osservare severe il nostro vagare.
Il giorno trascorre sereno, fra una passeggiata, una medicazione delle inevitabili vesciche, qualche chiacchiera, il pranzo.
Quando poi giunge l’ ora della cena, siamo tutti curiosi di conoscere il menu’ particolare che ci hanno riservato i nostri fedelissimi. Restiamo a bocca aperta nello scoprire che ci faranno assaggiare il loro pesce al cartoccio, rigorosamente cotto sotto la cenere! La serata prosegue poi con giochi e danze alle note dolci ma un po’ gracchianti della musica tuareg incisa su un vecchissimo nastro! Incredibile: riusciamo a stare svegli fino a mezzanotte!!

RocceLunedi’ 1 Gennaio 2001
Quando mettiamo il naso fuori dalla tenda, uno spettacolo nuovo ed inaspettato ci accoglie: la nebbia! I bei colori di ieri sono tutti velati ed uniformi, ma non importa: abbiamo una cosa piu’ urgente cui pensare. Una delle jeep, durante la piccola bufera scoppiata durante la notte, e’ rimasta insabbiata, e serve una bella spinta per tirarla fuori!
Oggi si riprende il cammino e siamo tutti molto riposati. Le tappe dei prossimi giorni saranno piu’ brevi, almeno fino all’ ultima, quella cioe’ che ci portera’ fuori dall’ Akakus. Scendiamo a valle e camminiamo a lungo senza che la nebbia ne voglia sapere di alzarsi; i ricordi di questa giornata sono infatti un po’ velati. La zona che attraversiamo ora e’ piatta e dal terreno compatto dove si procede velocemente; belle sculture di roccia rallegrano il paesaggio e noi ci divertiamo a scorgere nelle forme naturali alcuni personaggi. Ricordiamo per esempio il pellerossa di profilo con tanto di naso aquilino e copricapo piumato, Burt Simpson seduto con le spalle ad un altro personaggio simile a lui, un barbapapa’ con la bocca aperta… oltre ad innumerevoli fori, archetti e pietre in precario equilibrio le une sulle altre.
Arriviamo al campo di mezzogiorno, che sara’ anche quello della notte, poco dopo l’ una; una soffice e piccola duna su cui montare le tende e’ semplice e veloce. Nel pomeriggio siamo lasciati liberi di scorazzare nei dintorni, sotto l’ occhio curioso di Hamadane che e’ salito su una roccia altissima e la cui figura esile e alta si staglia sul cielo chiaro come un’ immobile sentinella!
Alla sera viene allestito un piccolo mercatino sul cofano ricoperto da un tappeto di una delle jeep: si vendono bei braccialetti d’ argento lavorato, collanine, orecchini… e fantastiche punte di frecce in selce appartenute agli uomini primitivi delle pitture rupestri!

Dune

Martedi’ 2 Gennaio
Anche oggi la nebbia non lascia tregua, ma e’ molto meno fitta di ieri e semplicemente schiarisce un poco i colori. Torniamo sul terreno compatto di ieri, finche’ non penetriamo in un sottile canalone di roccia, alla fine del quale ci affacciamo dall’ alto sulla zona detta “Haddad”, ovvero “il dito”. Si tratta di una valle ampia e piatta, che costituisce la migliore porta di ingresso all’ Akakus ai mezzi motorizzati, con al centro uno spettacolare dito di roccia rivolto al cielo, ora finalmente blu.Haddad : il ditoIl papa’ di gloria
Non immaginavo, anche se in cuor mio lo speravo, di passare proprio di qui, poiche’ per me questa zona e’ particolare; esattamente una anno fa, infatti, mio papa’ ha trovato la macchina fotografica che sto usando ora proprio ai piedi del dito di roccia!! Una bella coincidenza dunque, una sorta di cerchio che si chiude!
Mentre sto raccontando ai ragazzi le avventure della mia macchina fotografica, accade poi una cosa incredibile. Premetto che quando io ed Taddy stavamo pensando al progetto di attraversare l’ Akakus a piedi, il mio papa’ stava progettando di attraversarlo in moto insieme ad un gruppo misto di jeep e moto, esattamente come un anno fa. Era ovvio che incontrarsi nel bel mezzo del deserto fosse un’ idea pazzesca, percio’ ognuno e’ partito tranquillo per la propria strada.
Ma a quanto pare questa zona del deserto e’ carica di un’ energia straordinaria, in grado di avvicinare fra loro momenti, oggetti… e addirittura persone. Ebbene, mentre sto parlando coi ragazzi del gruppo ( ce ne stiamo seduti a circa 300 metri dal fatidico dito, sorseggiando un dissetante the’ nero) mi accorgo di uno strano movimento sotto al dito stesso: un gruppo numeroso di jeep e’ appena giunto da chissa’ dove e diverse persone si aggirano nei dintorni per sgranchirsi le gambe. Io sento un forte richiamo e senza accorgermene mi metto a correre nella loro direzione, lasciando tutti i compagni a bocca aperta, subito seguita da Taddy scalzo e da Hamadane con sottanone e ciabatte infradito. Ho paura che ripartano prima che io possa raggiungerli, lasciandomi con il dubbio se li’ ci sia oppure no mio padre, cosi’ aumento il passo fino a che i primi che mi vedono mi domandano: “Sei per caso la figlia di Monaco?”. Meno male che mio padre ha parlato di me ai suoi compagni come ho fatto io coi miei… gridando un felice “…si’!” continuo a correre cercando una moto arancione. Improvvisamento la vedo, e vedo anche papa’, girato di schiena… e quando si volta mi dice: “E tu cosa ci fai qui?!”
Ed ha inizio una grande festa, con tutti che si chiudono intorno a noi gridando “papa’, papa’” e scattando foto ricordo! Abbiamo rappresentato l’ evento della giornata: padre e figlia che si incontrano in mezzo al deserto!
Che bel momento, che bella emozione: che bel regalo mi ha fatto oggi l’ Akakus! Nel frattempo, dopo Taddy arriva anche Hamadane, che presento orgogliosa a papa’. Il suo gruppo, infatti, non ha la fortuna di viaggiare come noi con la gente del deserto; quando percio’ lo invito a prendere un the’ intorno al fuoco acconsente felice e si avvicina al bivacco in sella alla sua moto, mentre noi due saliamo sulla jeep di uno dei tuareg che e’ venuto a recuperarci. Ma quando mettiamo piede a terra, ci rendiamo conto che tutto il gruppo si sta spostando alla volta del piccolo e silenzioso bivacco… che in men che non si dica si trasforma in un frenetico e chiassoso scambio di mani, di battute, di bicchierini di the’, di fotografie scattate ai nostri timidi e frastornati tuareg! Il tutto ha fine quando la loro guida chiama tutti a gran voce incitando ognuno a risalire in sella o in jeep. Alzando ondate di sabbia e in un rumore assordante, infine, ripartono diventando quasi subito piccoli puntini scuri sulla distesa chiara: noi non vediamo l’ ora di riprendere il cammino, per immergerci nuovamente nel silenzio e nella purezza del deserto.
L’ incontro con papa’ rimarra’ mitico per me ed avra’ insegnato a tutti noi che l’ aver scelto di visitare l’ Akakus a piedi e’ stata senza dubbio la cosa migliore!

Il k2 di sabbia

Riprendiamo percio’ il nostro lento percorso, che ci portera’ nel pomeriggio a scalare due immense dune, la seconda piu’ alta della prima, tanto che, quando arriviamo sulla cima, ci pare di essere sul K2!! Da quassu’ si domina un paesaggio dalla struggente bellezza e dopo qualche minuto di contemplazione ci lasciamo andare in discesa, scivolando allegramente sulla sabbia come fossimo sulla neve. Arrivati a valle, girandoci indietro ci dispiace un po’ di aver rovinato la duna coi nostri balzi, ma riprendiamo tranquilli il cammino: il vento sistemera’ in breve ogni cosa!
Arriviamo in serata al campo, con una spettacolare “sala da pranzo” incastonata fra le rocce. Mentre noi montiamo le tende i tuareg impastano una fantastica pagnotta che cuoceranno direttamente nella sabbia, sotto alle braci. Siamo increduli: come puo’ la sabbia non restare attaccata al pane? Eppure non un solo granello entrera’ nelle nostre bocche!

Mercoledi’ 3 Gennaio
Questa notte c’e’ stato parecchio vento, ma quando ci alziamo per fortuna si e’ un po’ calmato. La temperatura durante il giorno si alza molto ed e’ quindi meglio che ci sia un poco di vento, ma se dovesse essere troppo forte sarebbe un pericolo per gli occhi e per le macchine fotografiche; e’ importante portare con se’ sempre un capiente sacchetto di plastica dove sistemare le apparecchiature elettroniche, estremamente fragili quando vengono a contatto con la sabbia ultra fine del deserto!
Anche oggi camminiamo poco, tornando lentamente ma inesorabilmente sul terreno roccioso dei primi giorni. Ci stiamo infatti riavvicinando al bordo dell’ altopiano, dal quale scenderemo purtroppo domani.
L’ ultimo campo dell’ Akakus e’ un po’ triste, se vogliamo; di fronte al fuoco sembriamo tutti un po’ nervosi. Ci eravamo talmente abituati a questo mondo che l’ idea di doverlo abbandonare ci sconforta. E’ un po’ come se passassimo l’ ultimo giorno con la persona amata prima di un lungo periodo di forzata separazione: vorremmo che fosse tutto bello, ma non riusciamo ad essere che nervosi e distaccati. Ad ogni modo trascorriamo un bel po’ di tempo sdraiati a terra con i piedi verso il fuoco e gli occhi verso il cielo stellato: qui non ci sono luci artificiali ad inquinare la purezza del firmamento, che quindi appare in tutta la sua bellezza.

Il bordo dell’altopianoGiovedi’ 4 Gennaio
Disfiamo il campo e ripartiamo in direzione ovest. Attraversiamo alcune vallette scure e sassose, in fila indiana dietro al nostro Argh Mohammed, che oggi indossa dei calzini sotto ai sandali: brutto segno!
A meta’ giornata giungiamo su una larga sella, dalla quale si gode di una vista incredibile sul mondo sottostante: siamo sul limitar dell’ altopiano e nella valle la’ sotto si distingue bene la striscia di asfalto che unisce Sebha a Ghat. Parallela a questa corre, ormai inutilizzata da tempo, la vecchia pista sterrata. Oltre a queste due, poi, si estende un enorme mare di dune gialle e rosse: e’ l’ Erg di Oubari, che giunge fino alle porte di Gadames, sul confine algerino. Miopadre l’ ha attraversato col suo gruppo 2 giorni fa.
Sgranocchiando nocciole ed uva passa, assistiamo incuriositi ma distaccati al dialogo fra Hassan e la guida. Capiamo che non e’ questa la via migliore per scendere a valle, cosi’ ci spostiamo su una sella vicina, dopo essere rientrati momentaneamente in Akakus. A questo punto inizia la discesa, piuttosto avventurosa per via della ripidezza e delle rocce friabili su cui appoggiamo i piedi. Spesso ci immobilizziamo tutti nel sentire qualche sasso che rotola veloce verso valle, sperando di non trovarcisulla sua traiettoria! Quando infine giungiamo a valle, camminando sul letto di un vecchio fiume, Fuori dall’ Akakusfra grosse pietre gettate qua e la’, ci giriamo spesso indietro e ci sembra incredibile di essere scesi proprio da quella parete praticamente verticale!
Superiamo l’ asfalto, seguendo con lo sguardo una strana coppia aggirarsi in questo paesaggio desertico. Si tratta di una cammella col suo cammellino, e Hassan ci racconta come queste bestie, attaccatissime al loro padrone, non si allontanino mai da esso se non quando devono partorire. Allora si allontanano anche di molti km e restano lontani anche per diversi mesi col loro cucciolo, per poi tornare pero’ sempre dal loro padrone! Che bella storia!
Ci fermiamo sotto l’ esile ombra di una spinosa acacia ed intavoliamo un’ accanita partita a dama con le cacchette di cammello che qui abbondano. Parliamo fra noi dei giorni andati, lo sguardo fisso su quella lunga parete scura che non dimenticheremo mai.
Le ore passano e ci domandiamo cosa stiamo aspettando: Hassan ci spiega che non abbiamo trovato all’ appuntamento gli altri tuareg con le jeep, che dovrebbero portarci nuovamente a Ghat. Argh Mohammed sta allora cercando di dar fuoco ad un vecchio copertone abbandonato lungo l’ asfalto, per attirare l’ attenzione dei suoi compagni col fumo nero che dovrebbe alzarsi, ma non ha successo e noi aspettiamo ancora. La cosa buffa e’ che a noi del gruppo non interessa proprio nulla di dover stare fermi qui, inattivi: lo svacco totale continua anche fuori dall’ Akakus! Anzi, ci facciamo delle gran risate guardando Hassan farsi sempre piu’ nervoso ed irascibile! Continua a perdere le partite a dama una dopo l’ altra e la cosa lo fa infuriare!
Beninteso, ci siamo trovati molto bene anche con lui e se ora ridiamo e’ in modo assolutamente bonario!
Dopo qualche tempo arrivano comunque i tuareg che ci accompagnano in un luogo bellissimo in mezzo alle dune di Oubari. Osserviamo la sabbia cambiare velocemente colore fino ad infuocarsi letteralmente, e ci prepariamo a trascorrere l’ ultima notte in tenda. Questa sera con noi ci sono molti piu’ tuareg, fra cui un gigante dal bellissimo viso nero che ci fara’ da autista nei prossimi giorni.

Venerdi’ 5 Gennaio
E’ finito il tempo di camminare, ma non ancora quello di scoprire! Oggi, infatti, veniamo proiettati in mezzo alle alte dune dell’ erg di Oubari, dove si nascondono alcuni splendidi laghetti di acqua dolce, chiamati di Mandara, in un contesto di oasi verdi che assomigliano tanto ad un miraggio. Ci fermiamo qualche tempo in riva ad uno di essi, osservando qualcuno che non resiste alla tentazione di un bagno in mezzo al deserto! Belle palme frondose ed alte canne palustri fanno da cornice naturale allo specchio d’ acqua scura dove nuotano numerosi pesci e dove, quando la superficie del lago e’ tranquilla e liscia si specchiano il cielo e le dune: un bellissimo spettacolo!

Laghi di mandara

Il viaggio prosegue alla volta di Tripoli, dopo l’ ultimo pranzo sulle stuoie dei tuareg. E’ giunta infatti l’ ora di salutare i nostri amici, che ci stringono forte le mani ridendo nel loro particolare modo che abbiamo imparato a conoscere cosi’ bene: ci mancheranno. Li ringraziamo per averci donato un’ avventura tanto bella, promettendo di scrivere ed inviare loro qualche foto nell’ attesa di un non impossibile ritorno da queste parti.
Finiti i saluti, torniamo sulle aute che ci lasceranno all’ aereoporto di Sebha sul finire della giornata. Il volo si conclude a Tripoli, dove in taxi raggiungiamo l’ albergo che la KEL 12 ha scelto per noi.
Dopo una bella doccia siamo tutti pronti per la cena ed Hassan a questo punto ci fa una sorpresa: anziche’ cenare all’ anonimo ristorante dell’ albergo… ce ne andremo in un ristorante tipico di Tripoli, specialita’ pesce!! Tutti contenti ci incamminiamo verso una zona non molto battuta della citta’ ed entriamo in una bella sala elegantemente arredata… e all’ improvviso ci sentiamo spaesati, persi, fuori luogo. Cosa ci facciamo in un posto come quello anziche’ starcene seduti per terra sulla sabbia? E dov’e’ il fuoco, il pane cotto sotto la cenere, dove sono i turbanti colorati dei tuareg? Lentamente dobbiamo rientrare nella realta’ e farci una ragione del fatto che questo posto appartiene purtroppo di piu’ alla nostra realta’ quotidiana di quanto non vi appartengano la calda sabbia del deserto o le risate cristalline di Hamadane. Lentamente torneremo alla normalita’, ma per ora preferiamo continuare a parlare ed a ricordare insieme questi meravigliosi giorni appena trascorsi!

Sabato 6 Gennaio
Ormai la vacanza si avvicina alla conclusione, ma per fortuna abbiamo la possibilita’ di finire in bellezza visitando un altra meraviglia del suolo libico. Non si tratta questa volta di una creatura della natura bensi’ di una vera e propria “figlia dell’ uomo”: Leptis Magna.
Questa citta’ antica, risalente al secondo secolo dopo Cristo, si trova nella regione della Tripolitania, a pochi km da Tripoli, sulla costa mediterranea. E’ affacciata ad uno spettacolare porto naturale che aveva attirato fenici, bizantini e greci ancor prima dei romani, ma furono proprio questi ultimi ad erigere maestosi monumenti che rimasero nascosti sotto metri e metri di sabbia fino agli anni 20 del secolo scorso, quando furono disseppelliti e ripuliti da mani esperte. Quello che possiamo vedere oggi e’ uno spettacolo unico, davvero imperdibile se si viene in Libia: bellissimi viali larghi e pavimentati, alte colonne e statue, un teatro che incarna uno dei migliori esempi di arte romana del periodo. I sotterranei dove venivano rinchiuse le belve provenienti dal centro dell’ Africa e destinate al Circo Massimo di Roma: anche questa e’ storia… Il lungo corridoio piano ed erboso, affacciato sul mare, dove si svolgevano la corsa ed altri sport. Il mercato, le terme, gli archi: c’e’ da girare un’ intera giornata, ma noi dobbiamo lasciare anche questo posto: l’ aereo per tornare a casa ci aspetta.
Salutiamo in silenzio la Libia e vivacemente Hassan, il nostro accompagnatore che e’ stato in tutto e per tutto uno di noi, camminatori di terre deserte…….
Arrivederci ad un prossimo viaggio!
Vorremmo salutare i componenti del gruppo, con cui siamo stati benissimo e che hanno concorso con la loro simpatia a rendere unico il nostro viaggio in Libia; Marina, Orietta, Giuseppe, Donatella, Chiara ed Elisabetta; grazie e … arrivederci ad un prossimo viaggio!

Racconto tratto dal sito http://digilander.libero.it/antoniotaddia