pani_pesciVANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

RIFLESSIONE

3 agosto 2014

LA “DIVISIONE” DEI PANI
18ma domenica del tempo ordinario A

Spezzò i pani e li diede ai discepoli perché li distribuissero.
Mi chiedo a volte perché continuiamo a chiamare questa pagina evangelica “la moltiplicazione dei pani”, se, dal testo, capiamo benissimo che è invece una “divisione”.
Anzi una “con-divisione” che sgorga dal gesto di spezzare il pane lo stesso gesto che Gesù ripeterà nell’ultima cena ordinando ai suoi discepoli “fate questo in memoria di me”.

Dio ha bisogno di noi. A Dio piace coinvolgerci nei suoi sogni.

A pensarci bene però è un messaggio sconcertante e fastidioso:
noi spesso ci troviamo a credere in Dio
proprio perché ci tolga dai guai e sbrogli le nostre matasse.
Invece il Signore oggi chiede a noi di aiutarlo. Ci coinvolge.

Quando chiediamo: “Signore ferma le guerre!”, Dio risponde: “Tu per primo diventa costruttore di pace”.
Quando invochiamo “Aiuta quella persona che soffre”
ci dice: “Vai a trovarla e diventa tu la mia forza per lei”.

La scommessa è che una merenda può sfamare una folla:
cinque pani condivisi diventano dodici ceste avanzate.
Questo è impossibile da fornai, è invece possibile in amore:
è il miracolo della condivisione, generosità, disponibilità.

Quello che per me sembra poco o nulla, quel poco che sono, se messo a disposizione insieme a quello che sei e hai tu diventa festa. “E tutti furono saziati”.

Il bene, pur piccolo e insignificante, diventa contagioso.
Questo è lo stile della comunità cristiana che Cristo insegna.
Cos’è invece la Chiesa per noi? Una holding del sacro?
Un vecchio baraccone che custodisce ammuffiti riti antiquati?

Eppure ogni domenica per noi c’è ancora un pezzo di quel pane, di quel pane di Gesù, che lui accoglie, benedice e condivide.
Quel “fate questo in memoria di me” è “fatelo anche voi!”.

Dio si fa mangiare per insegnarci ad essere pane:
la comunione non chiede solo di diventare “buoni come il pane”
ma insegna che diventi raffermo se non condividi cosa sei e hai.

Noi pure siamo seduti in mezzo a tanti nel campo della vita e siamo stanchi di desideri frustrati e affamati di serenità.
Ecco allora la pericolosità della sfida di questo racconto:
il poco di ciascuno messo in gioco diventa il tanto per tutti.

I piccoli gesti dell’amore dicono un “darsi corpo e anima”
che in ebraico si direbbe appunto “corpo e sangue”
(proprio come dice Gesù nell’ultima cena).

Quello che celebriamo nella Messa è lo stesso che viviamo ogni giorno nella piatta normalità dei legami più densi della vita.

La Messa non è una devota scenetta, come spesso la riduciamo, ma è fonte di “comune-unione”, è scuola di “com-unità”, è palestra di “con-divisione”.

“Io ho quello che ho donato”, disse Gabriele D’Annunzio.

Nella letteratura greca antica si racconta invece che Socrate amava andare tra le bancarelle del mercato di Atene per scoprire di quante cose potesse gioiosamente fare a meno.

Il miracolo del Vangelo è stato possibile non tanto per Gesù quanto perché qualcuno ha deciso di poter fare a meno di qualcosa di suo, di quanto aveva per sé. E lo ha condiviso.

È il miracolo della condivisione dell’amore:
ti sembra di dare poco e ti senti impreziosito e riempito.

Io “ho” quello che ho donato. È una espressione forte. Bellissima.
Ma Dio come al solito va oltre: io “sono” quello che ho donato.