pace a voiVANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

RIFLESSIONE

12 aprile 2015

UNA CROCE SENZA CRISTO
2a domenica del tempo pasquale B

Il cuore di Gesù, talmente pieno di amore da squarciarsi,
fa contrasto stridente col nostro cuore stropicciato e impolverato.

Ogni volta che siamo a Messa mettiamo il dito nel cuore di Dio.
Come il cuore ha due ventricoli, così la Messa ha due parti:
la parola e il pane. Sistole e diastole.
Da qui, come dal cuore, parte il sangue, quella linfa di vita
che ci permette di vivere e di fare le cose di ogni giorno.
Così è per la terza parte della Messa che è fuori di Chiesa,
è la quotidianità, è lo stile con cui pensiamo, parliamo, agiamo.
È quel cuore che batte forte quando ami davvero.

Parola, pane, vita. Sono però anche i tre elementi della casa,
le tre dimensioni del tavolo della cucina dove la realtà piatta
diventa parola condivisa o interrotta,
diventa pane condiviso o boccone amaro da digerire,
diventa vita tessuta dentro le luci e le ombre di ogni giorno.

Il tavolo della cucina è un altare vero, che raccoglie il sacro
che rende divino ogni gesto di amore e di sacrificio,
dentro cui Dio compare e si fa presente. A porte chiuse.

Il Risorto però, ci racconta il Vangelo di Tommaso,
compare proprio dentro i nostri dubbi e dentro le nostre fatiche.
Il Dio di Gesù Cristo si fa trovare nelle ferite e nelle mancanze.
Tommaso “non c’era”. Quante volte anche noi non ci siamo!

I primi cristiani non rappresentavano mai Gesù morto in croce.
Solo la croce, vuota e svuotata. Con una provocazione:
quello che al tempo era un patibolo infame lo rendevano bello,
glorioso con decorazioni di germogli, di fiori, di frutti.
(Se qualche gruppo oggi scegliesse come suo simbolo
una sedia elettrica infiorettata grideremmo scandalizzati).

Per i primi cristiani la croce va mostrata vuota
perché Cristo vincitore è in giro a far vedere le sue ferite.
Per dirci che è possibile anche per noi uscire dalle nostre tombe,
che sono il cuore rassegnato all’opaco, il gelo delle relazioni,
i fallimenti, le fragilità, le meschinità subite e anche però date.

L’uomo della risurrezione è un ferito risollevato.
Nel dialetto bergamasco antico per esprimere il ridare forza e vita
si usava l’immagine del “tirar su le ali” (al gà so i ale).
È il ridare la voglia di volare ad un angelo accartocciato,
a chi striscia nel fango perché si è dimenticato di essere angelo.

Quanta indifferenza sta inquinando e opacizzando la storia.
Vi siete accorti quanti hanno perso il gusto e la voglia di ridere?

Tommaso mette il dito nelle piaghe e torna a sorridere.
Tornare a sorridere sarebbe il segno che stiamo risorgendo,
innanzitutto dentro noi stessi.

Non è sfuggire ai problemi ma è recuperare l’arte dell’autoironia,
è cercare di vedere il lato comico delle cose quando possibile.

Coloro che riescono a farci sorridere sono persone preziose
da non farci scappare e tenerci sempre vicine.

Abbiamo bisogno di angeli di risurrezione che ci aiutino
a strappare il sudario della tristezza e ad arrotolare per sempre,
in un angolo, le bende delle nostre ferite interiori.

Abbiamo bisogno di ali per aprire la porta del cuore.
Il bello del Vangelo di oggi è che il Signore non libera
dai catenacci della paura, dei dubbi, delle fragilità.
Entra ed esce “a porte chiuse”. Di aperto c’è solo il suo cuore.
Sta a noi trovare la speranza e la forza di aprire quella porta
e rimetterci in cammino, accorgendoci magari di avere le ali.