paraclitoLETTURE DI RIFERIMENTO

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo
Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo.

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

RIFLESSIONE

25 maggio 2014

FEDE PER SPORT
6a domenica del tempo pasquale A

Per San Pietro (2° lettura) essere credenti significa
“essere pronti sempre a rispondere a chiunque
ci domandi ragione della speranza che è in noi”.

Ma chi ci riesce?
Nel clima sociale e spesso nell’opaco della fatica quotidiana
valgono spesso le tristi parole che canta Samuele Bersani:
“In fondo non c’è in quello che dici qualcosa che pensi,
sei solo la copia di mille riassunti”.

Gesù ci viene incontro con il suo sano schietto realismo
e nel Vangelo ci dice: “se mi amate…”. Se.
Dio rispetta i nostri “se”. Dio parte proprio dai nostri “se”.

Non è possibile vedere cristiani accettare ancora l’idea
di un Dio suscettibile, permaloso e arcigno,
di un Dio che si ciba di comandi e di castighi,
di un Dio da fanatici, bigotti, superstiziosi, catto-talebani.
“La fede che uccide” titolava provocatoriamente un libro.

Tutti sanno chi è Einstein e sono convinti che è stato un grande,
sebbene pochi conoscano realmente cosa Einstein abbia detto.
Così succede con Dio.

A volte ringrazio Dio di avermi dato amici atei,
perché con le loro domande, dove niente è scontato e ovvio,
mi spingono a non accontentarmi e ad essere sempre in ricerca.

Si può rendere ragione della speranza che è in noi
solo se si capisce che la fede è quanto di più concreto ci sia:
non è una idea astratta, ma è il gusto e il colore delle scelte,
è la qualità e il valore di ciò che facciamo, diciamo, pensiamo,
è la densità dei nostri perché sul senso della vita.

Dio dice: se si accetta l’amore, si accettano tutti i comandamenti.

Potremmo dire che ci si avvicina alla fede come allo sport.
C’è chi cambia canale subito.
C’è chi si diverte a guardare qualsiasi tipo di sport.
C’è chi tifa, ma senza staccarsi dalla comodità della sua poltrona.
C’è chi affronta viaggi o fatiche pur di seguire la sua squadra.
C’è chi si mette in gioco in prima persona per partitelle tra amici.
C’è chi lo prende sul serio, investendo impegni e rapporti
nella fatica di un allenamento costante e crescente.
C’è chi ci plasma e ci investe il suo futuro per essere “di serie A”.
Lo sport è lo stesso, ma diverso il livello di compromissione.

Nella fede sono interessato, tifoso o giocatore?
Rispetto alla mia vita sono spettatore e giocatore?

Gesù dicendo “se mi amate” dice una cosa straordinaria,
che Dio parla il linguaggio degli innamorati:
dell’innamorato che sa aspettare,
che è attento ad ogni piccolo segno di apertura,
che non si stanca di correre dietro, anche in salita,
che non si scoraggia anche davanti ai no e alle cadute,
che sogna continuamente, comunque e nonostante tutto.

Dio è vicino ma non fa mai le cose al nostro posto.
Dio non usa la bacchetta magica ma dona lo Spirito Santo,
cioè Dio non risolve i problemi ma ci dona il Paraclito
(letteralmente significa “l’avvocato difensore”),
cioè la forza per affrontare le cose guardandole in faccia.
L’avvocato non basta se non si hanno da esibire prove concrete.
Questo è il “rendere ragione della speranza”.

Charlie Chaplin ci può suggerire un primo passo concreto:
“Preoccupati più della tua coscienza che della reputazione,
perché la tua coscienza è quello che tu sei,
la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te.
E quello che gli altri pensano di te è un problema loro”.

Questo è essere giocatori e non spettatori nel campo della fede,
dove si gioca la partita della speranza.