Usciamo dall’autostrada del Sole a Fiorenzuola: meta Castell’Arquato, borgo medievale della pianura padana, situato tra Piacenza e Parma, lungo la riva sinistra del fiume Arda. Posto sulla collina, conserva intatta un’atmosfera magica, d’altri tempi, i tetti addossati con le antiche case arroccate e ben conservate, i vicoli stretti acciottolati che portano alla parte superiore del colle, dove si apre l’ampia Piazza monumentale incorniciata dalla Rocca Viscontea, dal Palazzo del Podestà e dalla Collegiata.

Più indietro nel tempo in Castell’Arquato e il suo territorio, era il periodo detto Pliocene, si trovava il golfo delle balene: qui c’era il mare. Un profondo golfo marino occupava l’odierna pianura padana e il clima caldo favorì la vita di numerosi molluschi. Cetacei, balene, balenottere e delfini popolarono numerosi il mare padano; i loro resti sono rimasti tra le rocce come preziosa testimonianza, come troviamo documentato nel locale Museo Geologico G. Cortesi che, fra le altre cose, ospita i resti di una balena ritrovata nei calanchi intorno al centro abitato.

Si presume che il borgo, nell’epoca romana, fosse un castrum militare edificato sullo sperone di roccia, dove oggi sorge la Rocca Viscontea, per tenere sotto controllo i belligeranti popoli liguri. Il suo nome deriva forse da Caio Torquato, che ne fu titolare di presidio, per poi trasformarsi nel nome attuale; di certo si sa che, nelle mani di un potente signore locale di origini longobarde chiamato dagli storici Magno, il borgo rurale si diede una struttura urbanistica e venne edificata anche la famosa Collegiata. Si narra che nel 756 il nobile Magno oltre a far riedificare il borgo fece ingrandire la Chiesa in onore della Madonna.

Ma l’esistenza della Pieve parrebbe ancora più antica. la datazione del fonte battesimale ad immersione in pietra rimanda al VII-VIII secolo Con Piacenza ha, in seguito, condiviso la storia, attraversando anche i periodi bui delle carestie e delle pestilenze, come pure i periodi di ricchezza e vitalità, tra i quali quello di fine primo millennio, dove venivano scambiati beni agricoli, olio, bestiame, cereali e vino. Le sue mura hanno visto passare vicende e dominazioni, da quella vescovile passando per gli Scotti e i Visconti agli Sforza (fino all’inizio del 1700) a cui fa seguito, nel 1707, ai Farnese e i Borbone signori del Ducato di Parma e Piacenza.

Fino al 1860 è poi parte del patrimonio di Maria Luigia dAustria, prima di essere annesso al Regno di Savoia. Due sono gli accessi al borgo: quello medioevale della merlata “Porta di sasso”, sul lato sud del paese, e quello seicentesco rivolto verso nord Pur se il percorso di visita si snoda dal basso verso l`alto, tra episodi architettonici di varie epoche come il palazzo del Duca (due-trecentesco) e il vicino Torrione farnesiano (cinquecentesco), il punto di partenza ideale è il centro monumentale, chiamato Solario e posto sulla sommità del colle.

Compiuta la ripida salita ci attende infatti lo scenografico ambiente urbano di piazza del Municipio, sul quale si fronteggiano i maggiori edifici civili della città il Palazzo Pretorio e la Rocca tenuti a debita distanza dalle absidi della collegiata. II primo è una solida costruzione gotica con merli e torre pentagonale, eretta a partire dal 1293 e ampliata nel Quattrocento con l`aggiunta di una scala esterna e di un loggiato dai grandi arconi ogivali.

La seconda, rivolta verso la valle sul lato opposto della piazza, è invece un massiccio complesso difensivo iniziato dal comune di Piacenza nel 1343 e articolato in due spazi cintati, separati da una muraglia e disposti su livelli diversi; quello superiore fu guarnito da Luchino Visconti nel 1347 con una torre che si eleva per quasi cinquanta metri al di sopra del fossato.

Sulla piazza principale si affacciano le due costruzioni in cui nel medioevo si amministravano i massimi poteri: il Palazzo del Podestà, per il potere civile e la Collegiata di Santa Maria Assunta per il potere spirituale: un gioiello risalente all’ottavo secolo che fu vittima di un violento terremoto nel 1117 e ne subì grossi danni; nel 1122 venne ricostruita e riconsacrata.

L’attuale facciata della Collegiata di Santa Maria Assunta, di semplice concezione se paragonata alla maestosità dell’edificio, si volge ad Occidente su quella che era fino alla metà del Trecento la piazza principale del borgo ed è interamente costruita in pietra arenaria, interrotta nella sua continuità solo da un piccolo portale, da una bifora e da un’apertura a forma di croce alla sommità.

Sul lato opposto, quello orientale, vi sono le absidi: la maggiore presenta alla sommità una loggia di aperture a tutto sesto, mentre quelle minori sono coronate da archetti pensili, anch’esse costruite in tufo e arenaria, creando un bel gioco volumetrico con il tetto a capanna della chiesa e il piccolo campanile quadrato. Le absidi laterali sono coronate da una serie di archetti pensili.

Di notevole pregio il portale strombato sul fianco sinistro, con lunetta decorata, raffigurante la Vergine col Bambino tra un angelo e S. Pietro, datata intorno al 1180. L’arcata è riccamente decorata con colonnine reggenti archi a tutto sesto, che proteggono la lunetta ove è scolpita la Madonna col Bambino; alla base dell’architrave due telamoni accovacciati sono il sostegno di questa bellissima impalcatura. La fisionomia mutò dopo la metà del Trecento, quando il centro nevralgico della piazza si spostò con la costruzione del Palazzo del Podestà.

La torre campanaria eretta sulla navata inferiore di sinistra, subito dopo la campata prima dell’abside, non faceva parte del progetto originario. Il portale detto “del Paradiso”, pure in arenaria, utilizzato per le tombe dei personaggi illustri, risale anch’sso a questo periodo. Entrando, l’ambiente che ci accoglie è semplice e luminoso, a tre navate coperte da capriate e separate da colonne in pietra arenaria, la parte centrale è sormontata da un soffitto in travi di legno, quelle laterali da volte a crociera e a botte.

Particolari che meritano attenzione sono la cappella di San Giuseppe, la cappella di Santa Caterina, il chiostro e la fonte battesimale. L’interno si presenta semplice ed austero, è ritmato dalla processione dei pilastri cruciformi: le colonne sono sette per parte, costruite in pietra arenaria e aventi un metro di diametro; è  suddiviso in otto campate da arcate a doppia ghiera. Particolarmente interessanti sono i capitelli con motivi a intreccio e raffigurazioni animali e simboliche.

Le capriate lignee sono di restauro, mentre le crociere sulle navate minori non sono originarie del XII sec. L’abside centrale è divisa in tre specchi da sottili semicolonne ed è terminata in alto da una loggia su colonnine Entrando dalla navata centrale si rimane sicuramente colpiti dall’imponente crocifisso che sovrasta l’altare, collocato nella zona absidale.

Un Crocifisso ligneo della fine del Trecento, di autore ignoto (probabilmente di scuola lombarda); le sue dimensioni sono notevoli: alto oltre tre metri e largo oltre due. Dove lo possiamo ammirare oggi non è probabilmente la sua dislocazione iniziale, si pensa che in origine fosse collocato nella cappella di Santa Caterina per poi transitare nella sagrestia ed arrivare nel 1967, restaurato e riportato ai suoi colori originali, nella posizione attuale, dove grazie all’illuminazione di tre monofore, si crea un atmosfera suggestiva che sottolinea l’espressione sofferente del Cristo in Croce.

Le sculture, oggi sui fianchi dell’altare maggiore e degli altari minori absidali, sono ritenute parti di una recinzione corale risalente al XII secolo. A questo periodo appartengono la gran parte dei capitelli, tutti scolpiti e istoriati. Le statue che adornano l’ambone, gli Evangelisti, Geremia e l’Annunciazione del 1170 sono attribuite alla Scuola di Piacenza. In fondo alla chiesa si trova una piccola abside che, posta su un livello più basso, risale alla chiesa antica con una vasca battesimale dell’VIII secolo e si conserva un affresco raffigurante la Trinità (fine XIV – inizi XV sec.) secondo un’originale iconografia, poi condannata come ereticale.

La pala dell’Altare, raffigurante la Sacra famiglia, del 1720 circa, è di un pittore romano il cui nome non è noto. Sia l’altare che la balaustra sono di marmi pregiati. La chiesa presenta tre absidi affiancate a sinistra da quella della cappella del battistero. Le finestre, due nell’abside maggiore, una in quelle minori, sono a forte sguancio semplice mentre le finestre del battistero sono più larghe e basse, a sguancio multiplo.

All’inizio della navata destra si apre una cappella, aggiunta nella metà del Quattrocento da Tiberio Brancolino, dedicata a S. Caterina di Alessandria, e interamente affrescata. Alle pareti laterali si dispiega il ciclo della Passione di Gesù, mentre in quella centrale sono raffigurate la Morte della Vergine e la sua Glorificazione: S. Caterina compare sul lato destro, tra la Crocefissione e la Resurrezione.

Gli affreschi, pesantemente restaurati e parzialmente rifatti alla fine dell’800, sono di scuola toscana, anche se l’autore è ignoto. Purtroppo all’inizio del 1700 la cappella, come tutta al chiesa, subì lo scempio dell’intonaco. Nel 1899 un professore dell’Accademia di belle Arti del Brera scoprì le pitture e con il lavoro paziente ed abile di diversi anni le restaurò.

Se siete in una giornata di sole, non accendete i faretti che illuminano la cappella ma cercate le diverse tonalità di colore, i chiari-scuri o le dominanti creati del sole che entra dalla finestra vetrata. La cappella seguente, dedicata a S. Giuseppe, santo patrono del Borgo, fu costruita in stile barocco nel 1630 ed è edificata sull’area di una cappella più antica, in seguito alla cessata peste di manzoniana memoria.

Il suo stile è prettamente barocco, ricca di stucchi e dipinti, i quadri laterali sono opera di Giacomo Guidotti e rappresentano lo Sposalizio di Maria e la nascita del Bambin Gesù. Tornati fuori dalla chiesa, volgendoci a lato, troviamo l’accesso al chiostro che fu costruito sul finire del XIII sec. E’ un affascinante e mistico angolo d’arte. Qui gli antichi canonici condussero, fino al XV secolo, una vita in comune.

Attraversando il piccolo e meraviglioso chiostro si giunge al Museo della Collegiata, che conserva marmi con iscrizioni medioevali, sculture e dipinti di epoche diverse, reperti romanici e frammenti di affreschi, e all’Archivio Storico che invece conserva, tra l’altro, pergamene del 1120 tra cui un bellissimo paliotto di scuola bizantina. Una visita certamente raccomandabile, da completare con la visita alla rocca, al museo e agli altri monumenti e musei già in precedenza accennati.

Fra le tradizioni di Castell’Arquato un banchetto medioevale, che in genere si tiene in estate. Nel corso della ricostruzione sono rappresentati anche diversi personaggi vissuti all’epoca dei Visconti. Anche l’impatto con il cibo, con menù di pietanze medioevali o proposte più tradizionali e recenti , è ottimo e abbondante e il prezzo direi onesto con i tempi che corrono, ma di questo mi propongo di riparlarne in prossime occasioni.

Il comune, insignito della Bandiera Arancione, si distingue per il centro storico medievale ben conservato e per la una buona pulizia, manutenzione e pavimentazione delle strade. Buona inoltre è la segnaletica di informazione presso i singoli siti di interesse turistico.

Unico neo lo si trova nel fatto che le aperture alle visite sono per lo più dislocate nei sabati e domeniche, pertanto bisogna sapersi regolare.

Il visitatore, interessato al tour completo del borgo medievale di Castell’Arquato, può utilizzare la vantaggiosa offerta di un biglietto unico, valido per l’ingresso a tutti e quattro i musei del borgo al conveniente prezzo di Є 9,00 ( ridotto Є 7,00) spendibile nell’arco di 6 mesi.
 Il biglietto unico è acquistabile presso ciascuno dei quattro musei oppure all’ufficio IAT ( Informazioni e Accoglienza Turistica).