La Storia

Il comune è posto sugli argini del Po, lungo l’antica strada degli argini che costeggiando il fiume conduce da Cremona a Casalmaggiore ed è al confine con la provincia di Parma. Il toponimo “Motta”, piuttosto diffuso nella pianura padana, deriverebbe dal termine germanico “mot”, cioè luogo di assemblee. Il nome “Baluffi” è dovuto al fatto che nel secolo XVI la località venne infeudata alla nobile casata dei Baluffi.

Prima di assumere la denominazione attuale, pare si chiamasse “Vico Liberio”, dal nome di un generale romano vissuto ei tempi di Ottaviano Augusto. . Secondo alcuni storici, lungo questo percorso sarebbero sorti alcuni insediamenti etruschi localizzati lungo il tratto che collegava l’antica Brescello (Brixellum) a Cremona.

Circondato da paludi ed acquitrini il paese non venne direttamente coinvolto in eventi storici significativi per lungo tempo. Il paese, di probabile origine franca, fu in passato paludoso a causa della presenza di un ramo del fiume, detto Po morto, ma nel XII secolo fu bonificato dai monaci benedettini. Essi procedettero ad una sistematica bonifica, abbattendo selve e dissodando terreni e fondarono anche un ricovero per ammalati chiamato San Cataldo della Motta.

Motta rappresentò da allora, per i passanti un luogo di rifugio e ristoro. Nel 1521 una lega armata dall’imperatore Carlo V e dal Papa poneva l’assedio a Cremona, ancora occupata dai francesi, che si arrendevano solo l’anno seguente. Nel corso delle varie operazioni militari, i veneziani, alleati dei francesi, trovandosi nella necessità di dover passare rapidamente il Po costruirono un ponte a Motta Baluffi, che permise loro di giungere presto a Bordolano, dove si accamparono.

Il borgo già fortificato fu possedimento dell’episcopato cremonese e riuscì a diventare autonomo nel 1224.

COSA VEDERE

Si tratta di un borgo prevalentemente agricolo.

Di particolare interesse ambientale la zona golenale, dove sono localizzati l’Acquario del Po e l’attracco fluviale. La sede del Municipio è un edificio tardo-ottocentesco che si ispira al ‘400 lombardo. Lungo le strade, sono presenti sui muri delle case diverse testimonianze del passato.

La parrocchiale di San Cataldo

E’ caratterizzata da una semplice facciata con timpano decorato da due statue e una croce. La pianta dell’edificio è una croce latina ed esso si conclude con un’abside in mattoni a vista. Il campanile ha una cella campanaria che termina con quattro piccoli timpani sormontati da una cupola. L’interno è ricco di decorazioni.

L’acquario del Po

Un laboratorio didattico e 70 vasche in cui si possono osservare le più importanti specie ittiche che popolano il Grande Fiume. Si rivolge prevalentemente all’utenza scolastica e famigliare. ORARI: domenica 9:00 – 12:00 e 15:00 – 19:00. orario estivo 10:00 – 12:00 e 15:00 – 19:00

Riserva Naturale Lanca di Gerole

La Riserva Naturale orientata è collocata in un tratto di golena fluviale di rilevante interesse naturalistico e paesaggistico, caratterizzato dalla presenza di due ampi meandri dismessi, disposti concentricamente ed a differente stadio evolutivo e da un paleoalveo già quasi completamente interratosi, in parte riattivato da pregresse attività estrattive, collocato tra le precedenti due raccolte d’acqua. Al suo interno si snodano particolari percosi naturalistici che consentono di osservare flora e fauna tipici della nostra pianura.

INGRESSO: libero.

SOLAROLO MONASTEROLO

LA STORIA

Il nome è di origine medievale e sembra derivare da solerioloo solariolo che, secondo l’Agnelli, era l’appellativo che si dava alle chiesette fabbricate ove prima era una piccola casa con camere superiori (angora oggi al sulèr sono le camere da letto poste al primo piano).

Monasterolo quasi certamente deriva dalla presenza di un monastero degli Umiliati, per meglio distinguerlo da Solarolo Paganino, ove invece probabilmente resistevano ancora riti e costumi paganeggianti.

Nel 1200 nasce la Cascina Rangone, sorta quando i Rangoni di Modena si accamparono lungo le rive del Po in attesa di incontrarsi con Federico Barbarossa. Solarolo, nei tempi, ebbe la fortuna di non incappare in eventi bellici di rilievo; solo sul finire del XVI secolo dovette subire saccheggi da parte di un gruppo di soldati di ventura che però non si macchiarono di soprusi alle persone. . Quando fu costruita la prima chiesa non lo sappiamo.

La tradizione vuole che le parrocchie disseminate lungo la sponda sinistra del PO, coi relativi benefici, siano state fondate dalla contessa Mati lde di Canossa (1046 – 1115) con l’obbligo di accogliere e nutrire i Romei che attraversavano il Po per i loro viaggi a Roma o in Terrasanta. I registri parrocchiali iniziano col primo gennaio1626 e la parrocchia è dedicata ai SS. Apostoli Pietro e Paolo.

La mancanza di una documentazione scritta nell’archivio parrocchiale può avere due spiegazioni: primo perché soltanto dopo il Concilio di Trento terminato nel 1563 fu fatto obbligo ai parroci di annotare su appositi registri i nati e i morti; secondo perché con la soppressione del convento, dopo la visita apostolica a Cremona di S. Carlo Borromeo nel 1575, forse il priore del convento, che era anche parroco, portò la documentazione nella casa madre di S. Abbondio dove purtroppo andò perduta.

La torre campanaria è stata totalmente rifatta nel 1847 e nella Chiesa parrocchiale si trova una statua lignea di S. Rocco il cui culto, nei tempi passati, era molto sentito con cerimonie e processioni. L’organo dovrebbe essere del 1700.

E’ da ricordare che Marco Gerolamo Vida, vescovo e poeta di Elba, fu investito della parrocchia di Solarolo verso il 1520 (la data precisa non si conosce) da parte di Papa Leone X. Nel suo libro Hinni de rebus divinis, a pag 196, parla restauri compiuti nella chiesa di Solarolo Monasterolo dedicata a S. Paolo e ciò prova che il Vescovo era investito del pingue beneficio. In sagrestia esiste un pregevole ritratto unico del XVI secolo di Marco Gerolamo Vida di autore ignoto. 

L’edificio più importante di Solarolo è la cascina “Maggi – Stanga”. Fino alla seconda metà del 1700 il complesso faceva parte di vasti possedimenti della famiglia Maggi, tanto che il paese si chiamava Solarolo Monasterolo o Solarolo de’ Maggi. Poi passò successivamente ai marchesi Vallardi e poi ai conti Silva di Roccabianca ed infine nel 1804 ai marchesi Stanga.

Tutto il complesso testimonia il gusto nobiliare dei proprietari: il palazzotto a nord dalle linee austere con tracce so tto il cornicione di affreschi del 1700; il torrione di nord-est con all’interno, nella stanza principale, una volta plurima a vele unghiate. Ma la parte più pittoresca è il portale sormontato da una guglia sulla cui cuspide si trovava un avvoltoio in rame (ora in restauro). L’avvoltoio figurava nello stemma dei Silva. .

Con la proclamazione del regno d’Italia nel 1866, Solarolo Monasterolo divenne Comune, ma con Regio Decreto, il 4 giugno 1868 venne represso ed aggregato al comune di Motta Baluffi, con la conseguenza che il comune di Solarolo Monasterolo funzionò fino all’agosto del 1868.

Nel 1869 gli atti del Comune portano l’intestazione “Comune di Motta Baluffi con Solarolo Monasterolo” e sono firmati dal sindaco di Motta Baluffi Eusebio Ferrari. Furono sindaci del comune di Solarolo Monasterolo Luigi Quinzani dal gennaio all’aprile 1866 ed Andrea capra dall’ottobre 1866 all’agosto 1868.

COSA VEDERE

L’edificio più importante di Solarolo è la cascina “Stanga – Maggi” (detta del Curgnac). Fino alla seconda metà del 1700 il complesso faceva parte di vasti possedimenti della famiglia Maggi, tanto che il paese si chiamava Solarolo Monasterolo o Solarolo de’ Maggi.

Poi passò successivamente ai marchesi Vallardi e poi ai conti Silva di Roccabianca ed infine nel 1804 ai marchesi Stanga. . Tutto il complesso testimonia il gusto nobiliare dei proprietari: il palazzotto a nord dalle linee austere con tracce sotto il cornicione di affreschi del 1700; il torrione di nord-est con all’interno, nella stanza principale, una volta plurima a vele unghiate. Ma la parte più pittoresca è il portale sormontato da una guglia sulla cui cuspide si trovava un avvoltoio in rame (ora in restauro). L’avvoltoio figurava nello stemma dei Silva.

Chiesa dei SS. Pietro e Paolo

Quando fu costruita la prima chiesa non lo sappiamo. I registri parrocchiali iniziano col primo gennaio1626 e la parrocchia è dedicata ai SS. Apostoli Pietro e Paolo. La torre campanaria è stata totalmente rifatta nel 1847. Sulla facciata , attualmente in restauro, statue di bronzo del Ferraroni e mosaico di Gesù Buon Pastore opera del Vezzoni.

Nella Chiesa parrocchiale si trova una statua lignea di S. Rocco il cui culto, nei tempi passati, era molto sentito con cerimonie e processioni. L’organo dovrebbe essere del 1700. Nella chiesa si conservano alcuni quadri di grande valore:

Il Battesimo di S. Paolo, pala dell’altare maggiore, opera del pittore Ubert de Lange (1650 circa), sormontato da un affresco del 1614 rappresentante S. Paolo che cade da cavallo; S. Antonio da Padova riceve il bambino Gesù con ricca cornice; S. Francesco ottiene la grazia del Perdono di Assisi (in bella cornice), opera di G.B. Trotti detto Molosso; Sacra famiglia di scuola veneta; Madonna con B ambino e Santi Francescani (del Massarotti ?) in cornice artistica; Gesù muore in croce con Giovanni, Madonna e Maddalena.

La Grotta

Paolo gabelli di Luigi e di Bravi Rosalba, nato a Motta Baluffi il 22.11.1846 è morto a Motta Baluffi il 10.04.1928 coniugato con Chiapparini elvira, mise a disposizione della Parrocchia di Solarolo una somma di denaro per la costruzione della “Grotta”: costruzione muraria ad imitazione della Grotta di Lourdes.

La costruzione fu realizzata nell’anno 1931. A lavori quasi ultimati, la volta della grotta crollò travolgendo l’operaio Fanti Paolo che fortunatamente riportò solo la frattura di una gamba. I lavori ripresero immediatamente e l’opera fu ultimata in breve tempo senza più alcun intoppo. Inaugurata ufficialmente l’11 febbraio 1932.

Dove Mangiare e Dormire (Motta Baluffi)

La Motta Locanda- Ristorante- Wine bar Via argine, 84 tel/fax 0375.570002 cell. 393.6753680 e-maillocanda.lamotta@tiscali.it

COME ARRIVARE

Dall’autostrada A21 TO-PC-BS uscire a Cremona. Direzione Mantova fino a Cicognolo. Alla rotonda svoltare per Parma. Alla successiva rotonda diritto per Parma. Alla rotonda dopo svoltare a sinistra per Motta Baluffi – Casalmaggiore. Dopo pochi chilometri si incontra prima Solarolo Monasterolo e subito dopo l’abitato di Motta Baluffi.

Proloco i Corvi

Informazioni su Motta Baluffi Solarolo

Le leggende di Motta Baluffi

(in forma semidialettale) Leggende

BINÈL

Si racconta che una sera alcune donne si siano riunite come al solito nella stalla a fare FILÓS. Mentre chiacchieravano fra di loro, ad un certo punto si sentì una voce terribile che proveniva dal piano superiore, (dal fienile che sovrastava la stalla) che intimava:  .

Ed a quel punto da un foro del soffitto in cui mancava una pietra sbucò fuori una gamba penzolante, che precedentemente era stata cosparsa di grasso e ricoperta di piume. Le donne corsero via terrorizzate e da quel momento si usa definire “NA NÓT DA BINÈL ” una notte movimentata, passata a malo modo. Probabilmente l’autore dello scherzo era un famiglio, che a quei tempi usavano il fienile come loro dimora data la loro estrema povertà.

LA GAŠA

Un signore benestante viveva con una gazza parlante che gli faceva compagnia, ed era accudito da una serva. Purtroppo la gazza non era molto amata dalla serva, che la doveva sopportare per forza maggiore. Un giorno il signore si dovette allontanare e lasciò la gazza in custodia alla serva.

Venne la sera e cominciò a piovere, e la gazza, forse a causa di un colpo di freddo ne risentì e le cominciò una gran diarrea. Naturalmente da animale qual era, lasciava escrementi dappertutto nella casa e la serva ne approfittò per vendicarsi su di lei. La prese e con ago e filo le cucì il sedere, in modo che non potesse più lasciare escrementi in giro.

Col far del giorno il padrone ritornò a casa ed il suo primo pensiero fu per la gazza. La vide e si accorse che qualcosa non andava. Siccome la gazza era parlante le chiese cosa le fosse successo. Con fare sommesso lei esclamò:VEEN LA NÓT E PÓ AL PIUVÉ, CÜÜL CÜŠÉ, CÜÜL CÜŠÉ>.

Non è dato sapersi come fin ì la storia, ma si può immaginare che la serva abbia passato un brutto momento.

AL FAŠOOL LA BRAAŠA E AL PAIOOL

G’eera na voolta an fašool na braaša en paiool, cà deciis d’andaa a vèdèr al muunt ca gheera inturnu C’era una volta un fagiolo, una brace ed una pagliuzza che decisero di andare a vedere il mondo che li circondava. Intaant chi sla cüntaava indiia pèèr la soo straada, fiin chià cataa an fusadel da travèersaa

Mentre chiacchierando andavano per la loro strada, ma ad un certo punto trovarono un rigagnolo da attraversare. Gheera da turn’indree, sü nò cataa foora al vèèrs da traversaa l’acqua L’alternativa era fra il tornare indietro oppure escogitare un sistema per attraversare l’acqua.

Al fašool ghe gnii in dla meeent da fa cuciaa da travèèrs al paiool in sal fusadel, tamme an puunt, cuse che lü e la braaša i pudès pasaa. Al fagiolo venne un idea, fece coricare di traverso la pagliuzza sul rigagnolo a mo’ di ponte, in modo che lui e la brace potessero passare. Na vòòlta dedlà iarès toolt sö al paiool Una volta dall’altra parte avrebbero recupe rato la pagliuzza. Cušé al paiool al se cuciaa šò, al fašool l’è pasaa pèr prim, e pò è tucaa a la braaša, ma quaant l’è stata in sal més, cul soo caluur la brüšaa in sal més al paiool , cal se rot in du e töti du iè cascaa in d’lacqua.

Così la pagliuzza si sdraiò ed il fagiolo passò per primo; poi toccò alla brace, ma quando fu a metà, a causa del suo calore bruciò nel mezzo la pagliuzza che si ruppe in due ed entrambi caddero nell’acqua. La braaša la see smursaada e l paiool al se scavisaa La brace si spense e la pagliuzza si spezzò. Aluura al fašool la cumenciaa a ridèr, e la ridii taant che la paansa la ghe sciupaada, taant cla tucaa andaa dan sartuur pèr fasla coošèr.

A quel punto il fagiolo cominciò a ridere, e rise a tal punto che la pancia gli scoppiò, tanto che fu costretto a rivolgersi ad un sarto per farla cucire. Ma la cušdüüra la ga lasaa an sègn, cas slee tiraa adree anca i soo fiooi e da aluura töti i fašooi i poorta an s ègn scüür in sla paansa, chis tegna in dla meent da miia ridèr dli disgrasii da chiiatèer Ma la cucitura lasciò un segno, che si trasmise anche alle generazioni successive e da allora tutti i fagioli portano un segno scuro sulla pancia, come monito a non ridere delle disgrazie altrui.

AL PREET CAL CAVAVA ŠÓ

Si racconta di un parroco intento a travasare il vino dal tino (CAVAA ŠÓ AL VIIN) e che dal tanto lavoro non si fosse accorto che era già ora di messa. Dopo che il sacrista lo venne a chiamare si precipitò in chiesa, con le braccia ancora sporche si tirò giù le maniche della tonaca.

Durante la predica, dedicata “alla disinvoltura” delle donne che andavano a ballare e poi venivano in chiesa come se niente fosse, cercando una metafora, gli venne per istinto di farsi su le maniche e mostrando le braccia violacee per il vino e le graspe esclamò: .

Come se niente fosse tirò di nuovo giù le maniche e continuò la predica fra lo stupore dei presenti.

LA GOOŠA

La GOOŠA è un animale immaginario, terribile che vive nei pozzi, che veniva evocato per spaventare i bambini, in modo da impedire loro che avvicinandosi ai numerosi pozzi di un tempo potessero cadervi dentro: Quando un bambino si avvicinava al pozzo quindi, il genitore o “i grandi” gli intimavano: “Va che le  mia la GOOŠA “.

PÁTUL

Si racconta di un tal Pàtul, manovale muratore, (e a quanto pare non molto esperto del mestiere) che un giorno si accinse a costruire una fornace per il bucato (FURNAŠÉTA). Tale fornace è di forma troncoconica, cava all’interno, per consentire di inserire il paiolo per il bucato. Pàtul iniziò a costruirla stando all’interno del manufatto e procedeva celermente. In un battibaleno ebbe terminato la costruzione, e fu soddisfatto del lavoro svolto. Ma poi si accorse che dalla posizione in cui era non poteva più uscire. Per uscire fuori fu costretto a demolire la fornace appena costruita

AL PIGRÖS

Al Pigrös è un uccello immaginario. Ai bambini un po’ tardivi si suggeriva un metodo per poterlo catturare: nelle giornata fredde d’inverno bisognava uscire di casa avendo in mano della paglia bagnata a mo’ di esca. Questi stavano fuori, con le mani bagnate ed intirizzite dal freddo con la speranza di poterlo catturare, finché il dolore glielo consentiva. Poi rientravano in casa delusi e veniva loro consigliato di ritentare un’altra volta. Quando si sta molto tempo al freddo si usa dire:

VARIANTE

Un’altra variante per prendere il Pigrös consisteva nell’inginocchiarsi sulla brina, con un sacco di tela bagnato sulle gambe e an crüstoon d’viirša in maan….

STORIE

Al Pos

Si racconta che due vicini di casa fossero in lite da diverso tempo, come spesso succede anche ai giorni nostri, ma che purtroppo dovevano per forza attingere l’acqua allo stesso pozzo che era in comune (IN CUMENIÓRUM).

Una notte, un tale andò di soppiatto nei pressi del pozzo e gli fece la cacca dentro. Il mattino dopo i due litiganti andarono ad attingere l’acqua e trovarono la sorpresa. Subito si incolparono l’un l’altro per l’accaduto, non pensando che non poteva essere uno di loro ad aver commesso il fatto, perché si sarebbe danneggiato lui stesso.

La loro rabbia li portava a pensare che pur di fare un dispetto all’altro, uno di loro avesse inquinato l’acqua del pozzo con le proprie deiezioni. Da quel momento la loro lite aumentò ancora di più, a conferma della loro stupidità.

Li guaardii

Molti anni fa in un paese limitrofo c’era una caserma di gendarmi. Di notte come di consueto uscivano le pattuglie in bicicletta per la ronda. L’obiettivo loro era quello di catturare finalmente i ladri di galline che tutte le notti mietevano vittime fra i pollai della zona. I ladri non furono mai catturati, ed entrarono un po’ nella leggenda.

Successivamente i militari furono trasferiti ad altra sede e nella caserma furono ospitate alcune delle famiglie più povere del paese, perchè sfrattate e sprovviste di alloggio. Alcuni componenti di una povera famiglia, durante il loro insediamento, nel gabinetto (che allora era costituito probabilmente da quattro muri ed un tetto, nella migliore delle ipotesi) rinvennero grandi quantità di penne di gallina……….

Piriin Piroon

Piriin l’eera n’umiin picinnin cal fiia l’ašidèèr.
Al ghiia an buteghiin in meša la Mòta.
Töti i venerdé l’andiia a Cašalmagiuur
a crumpaa pèr veendèr in buteega
e al gniia a ca al sabèt.
Al ghiia an carèt ca la tiraava an sumari.
Na vòòlta ghè sucès an fat che lü al cüntaava cušé:
Seeri adree andaa a Cašalmagiuur a crumpaa pèr veendèr in buteega,
l’eera sot siira
ca sam prešeenta dednaans du umoon
graant quaši tamme me
chi vuriiva faa al stüpit.
No ciapaa iöön e lò ingrügnaa cum la testa sota la rooda dal carèt
e pò go dit ” foi faa an pas al mee spurches?”
e lü sübit crideent al ma vušaa
“ma nòò Piroon, go famiglia, lasum andaa”
eluura lo lasaa ‘ndaa, e ghè miia pö gnii voia da faa al stüpit.