apostoiVANGELO

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

RIFLESSIONE

6 ottobre 2013

PRETI: SERVI INUTILI
27ma domenica del tempo ordinario

“Siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.
Ad ogni cristiano il Signore chiede di rendere fattiva la fede,
che non sia solo idea astratta, ma qualcosa che smuove la realtà
(addirittura le pesanti montagne della fissa quotidianità).

Credo però che questa frase arrivi oggi soprattutto a noi preti.
Vorrei ribaltare la prospettiva: il prete di solito parla degli altri
offrendo omelie per riflettere, per correggere, per sostenere.
Oggi vorrei invece parlare dei preti. Di me stesso e a me stesso.

Se si pensa al modo più comune di parlare dei preti, per la gente
il buono che fa un prete è dovuto, ma il fragile è subito additato;
la disponibilità è sempre pretesa, la debolezza è detestata;
se fa cose belle sono scontate, quelle sbavate sono chiacchierate.
Capita poi che un gesto generi insieme consensi e avversioni.

Ma voi credete che per un prete sia facile dare la comunione?
Quante volte sento le mie mani sporche nel porre indegnamente
il pane santo del corpo di Cristo in mani che so davvero sante,
oppure in mani che magari io stesso ho rifiutato o reso pugno.
Qui, da parte mia, è doverosa una sincera richiesta di perdono.

San Paolo dice: “Dio sceglie per sé ciò che è debole e stolto
per mostrare la sua grandezza”. Dio fa marketing al contrario.
In televisione grandi venditori ammaliano per prodotti scadenti.
Il Signore invece si affida a rappresentanti scarsi perché è sicuro
che il prodotto è letteralmente “divino”. È una sfida non umana.
Qualcuno dice simpaticamente che prova dell’esistenza di Dio
è che qualcuno creda ancora in lui nonostante 2000 anni di preti.

Il prete ha fede ma ha anche dubbi, ha speranze e scoraggiamenti,
ha illusioni e delusioni, ha sentimenti dolci e lacrime amare,
ha benedizioni ma anche peccati, ha parole sante e idee storte.
All’altare o al bar, mentre va a farsi la spesa o fa catechismo,
durante una riunione o mentre confessa, il prete è un uomo.
“Uomo di Dio”, si dice, ma pur sempre innanzitutto un uomo.
Un uomo con palpiti e sbagli, sentimenti e cadute, ideali e colpe.

Molti pretendono invece che sia “un angelo” senza incoerenze,
senza sbavature, ritardi, lentezze, fatiche, difficoltà, debolezze,
un angelo profumato d’incenso su una nuvoletta bianca e invece
è uno che puzza di umanità con le mani infangate di fragilità.
Mi consola che Gesù non è nato in profumeria, ma in una stalla
e adulto non ha avuto schifo ad avere vicino traditori e prostitute
(chissà cosa avranno pensato di lui, ma per lui era far rinascere).

“Servo inutile” significa capire di essere un “guaritore ferito”.
Questo è il miracolo che ogni sera, nell’esame di coscienza,
lascia ogni prete a bocca aperta: lo scoprire
quante cose buone Dio riesce comunque a fare, nonostante me.

Questo è per il prete il sentire la vicinanza del Signore
che si fa forza non solo nei tanti momenti belli, ma anche
quando le lacrime dell’incomprensione bruciano gli occhi
o il cuore piange perché hai inquinato attese e deluso speranze,
o la solitudine ti fa guardare tutta notte al soffitto della camera,
o la sofferenza e il nero degli altri che ti hanno buttato addosso
ti brucia lo stomaco tra i battiti del cuore e i dibattiti della mente.

Ma una delle cose belle di essere prete, per cui dire tanti grazie, è
l’avere ogni giorno una scuola per imparare l’arte di essere uomo:
l’aula è la comunità e gli insegnanti sono le persone che incontri.
Ciascuno è un tuo maestro: non importa se è adulto o piccolino,
sano o ammalato, santo o peccatore, credente o ateo.
Un prete osserva e ne fa tesoro: la mamma con il suo bambino,
il nonno con il suo nipotino, l’innamorato con la sua ragazza,
l’ammalato con la sua croce, l’anziano con la sua preghiera,
l’ateo col suo distacco, il fedele col suo impegno costante,
l’arrabbiato con la sua rivendicazione, l’amico col suo esserci.

“Siamo servi inutili”, così Gesù oggi ci suggerisce di ripeterci.
Ben fa eco Jean Guitton: “Il prete sta tra Dio e gli uomini,
ma deve cercare di fare meno ombra possibile”.

Chiedo alla luce di Dio di sciogliere le ombre che ho creato io.
Pregate per me.